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Circolo Miani » News Correnti » Page 373 La leggenda del bianco cavaliere (Arvedi). » Inviato da valmaura il 29 June, 2014 alle 1:40 pm Abbiamo più volte ricostruito su questo nostro giornale la storia del rapporto tra il Gruppo Arvedi di Cremona (di cui Lucchini deteneva nel 2000 il 30%, come da visure camerali) e la Ferriera di Trieste. Una prima puntata risale al 2007/8 che dopo due mesi di presenze dei tecnici cremonesi nello stabilimento si concluse con la rapida retromarcia di Arvedi dall’acquisto della controllata Severstal di Trieste (più che lo stato comatoso degli impianti fu la prospettiva di doversi assumere l’onere del costo delle bonifiche a farlo fuggire): Si riaffaccia un anno fa con due obbiettivi reali, e per altro mai nascosti dall’interessato e dal suo portavoce, Rosato, che per alcuni mesi fu a doppia busta paga quale consulente del Comune. Nell’immediato rifornirsi qui della ghisa necessaria alle sua acciaieria di Spinadesco (Cremona) pagandola ovviamente a prezzo di costo (ecco perché è Arvedi a pagare l’acquisto delle materie prime: carbon fossile e minerale ferroso. Quelli che al piccolo giornale chiamano e quantificano a spanne come “i milioni investiti”). Poi affittare il ramo d’azienda Ferriera (chi è in affitto non è tenuto a pagare costi ed oneri primari, dunque bonifiche in primis). Soprattutto interessato allo sviluppo futuro delle attività logistico-portuali, dunque con la produzione “a caldo” con i giorni contati. Ma quando il fallimento si avvia alla fase conclusiva e l’affitto non è più possibile dichiara apertamente e lo ripete all’infinito il suo dante voce Rosato, non Ettore ma il cognato del senatore Russo, che le sue condizioni sono queste. Che lo Stato, Regione, Comunità Europea, gli paghino le bonifiche del sito Ferriera e gli rimuovano, asportandoli, le centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti “speciali”, in gran parte altamente tossici, accumulati in discariche abusive fin dai tempi della Lucchini-Severstal, dunque anche sotto la direzione di Rosato, che in una originale confessione pubblica ne ha pure recentemente quantificato l’entità numerica (240.000 tonnellate!) sulla stampa. Senza per altro che alcun “organo di controllo”, ARPA, ASS e soprattutto Procura, abbia avuto a che ridire. Dunque che le nostre tasse paghino i centoventi e passa milioncini di euro, è un calcolo approssimativo per difetto, per il costo di questa operazione. Poi che sempre lo Stato, Regione, Comunità Europea, gli paghino la messa in sicurezza e l’ampliamento della banchina portuale interna (il raddoppio) per poter svolgervi una sua privata attività portuale oltre a quella che già realizza proficuamente la vecchia proprietà. La logistica portuale era infatti, assieme al business dell’energia elettrica, uno dei due assist in attivo della fallita Lucchini-Severstal. Dunque farsi pagare dal denaro pubblico una attività concorrente alla portualità pubblica: una vera genialata! Infine, ma non è detto, riassumere ex novo i dipendenti dello stabilimento (circa 400), non tutti però perché già un centinaio sarebbero ritenuti in esubero, attraverso le tre nuove società create ad hoc, ripartendo contrattualmente da zero, insomma una piccola Pomigliano bis alla Marchionne, e lasciando i rimanenti alle cure dello Stato (cassa integrazione e mobilità fino al 31 dicembre di quest’anno alle condizioni della vecchia legge sugli ammortizzatori sociali e poi dopo quella data sono i dolori della cosiddetta riforma Fornero). Nel frattempo pagarsi e comprarsi la ghisa che gli serve per le acciaierie lombarde a prezzo ridotto. Arriva l’Accordo di programma celebrato ed osannato come il toccasana, della politica però. Bella foto di gruppo romana tra ministri e politici nostrani, in parte politicamente estinti dall’arrivo di Renzi. A leggerlo, cosa dubitiamo abbiano fatto in molti compresi alcuni di quelli che l’hanno firmato, e se lo hanno fatto pare non l’abbiano capito, questo patto solenne vincola il nuovo acquirente, potevano già scrivere per praticità il nome di Arvedi, ad assumersi l’onere di pagare alcuni interventi di messa in sicurezza degli impianti, dei terreni e delle falde acquifere, e parte del fronte mare. Per la bellezza, è la semplice somma delle cifre dei capitolati scritti nell’accordo, di 23 milioni di euro. Tutti a carico del compratore cremonese, poi lo Stato ci mette di suo, ovvero dei nostri soldi, il resto. Nell’accordo ministerialregionalcomunale non si fa cenno alcuno alle bonifiche, regolate da una legge europea-italiana molto chiara: “Chi inquina paga e stop”. E pertanto è meglio, così pensano i nostri politici, dimenticarsene. Poi la solita trafila: la dichiarazione di interesse e poi il bando d’acquisto previa presentazione del piano industriale particolareggiato, del piano ambientale (messa in sicurezza e bonifiche), e accettazione giurata sulla testa dei propri figli degli obblighi contenuti nel mitico Accordo di programma. E qui si ferma tutto. Saltano i tempi previsti (entro giugno), il piano industriale sembra il fantasma del Louvre per non parlare di quello ambientale: un ectoplasma allo stato puro. E l’altra sera, a commento della Waterloo cosoliniana della seduta speciale del consiglio comunale sulla Ferriera “dopo la presentazione (?) del piano industriale di sior Arvedi” il cognato di Rosato, Russo senatore PD Francesco, dice a Telequattro che dopo aver fatto alcune telefonate, di cui si ostina a tenere segreti i suoi interlocutori, come fossero i piani d’invasione del D-Day, la causa del ritardo è da imputarsi alla burocrazia ministeriale che non ha ancora risolto il problema nel senso richiesto da Arvedi: cioè far pagare sempre al pubblico denaro anche i costi (23 milioni di euro) imposti dall’Accordo di programma scritto e firmato dai compagni di partito del Russo di bianco vestito. E pertanto, chiosa il modesto: bene fanno la Boschi e Renzi con la sempiterna annunciata riforma della Pubblica Amministrazione. Che in questo caso c’entra come il cavolo a merenda, visto che nessun burocrate riformato o meno, crediamo, voglia assumersi la responsabilità personale di infrangere la legge per il piacere e il business di Arvedi. Ecco le vere ragioni del silenzio arvedian-rosatiano. Insomma o accettano le sue condizioni di partenza o lui si scorda di Trieste e Ferriera. Anche perché sta cercando di mettere in saccoccia, con gioiosa compagnia, l’Ilva di Taranto che è la più grande, e inquinante, fabbrica siderurgica d’Europa ed a quel punto che gli può fregare della ghisa della Ferriera ma in futuro anche dell’acciaio della sua Spinadesco. Oltretutto per avere Trieste se non accettano le sue pretese deve sborsare una cinquantina di milioni subito, pagare un milione e settecentomila euro di canone d’affitto annuale al Demanio per trovarsi in mano una fabbrica che saldamente produce un debito di tre-quattro milioni di euro al mese. Un affarone perbacco. Fa letteralmente stralunare la beata affermazione del Russo, cognato di Rosato, che pacificamente dichiara che “lo Stato - ovvero noi cittadini inquinati e mazziati – deve fare la sua parte, pagando i costi di tutte le bonifiche e la messa in sicurezza perché non si può dare la colpa ad Arvedi”. Giustissimo, dunque si provveda a far pagare i 125 milioni al, condannato ad otto anni e sei mesi più cospicua pena risarcitoria, Nardi, commissario governativo della Lucchini Italia, alias alle dodici più importanti banche italiane che sono oggi i proprietari della fallita SPA russo-bresciana, ed a cui gli euro certo non difettano. Lo stabilisce la legge, italiana ed europea, che scrive pure che chi eventualmente compra, compra tutto, ovvero anche l’inquinamento presente nel sito e la sua eventuale bonifica. Dunque, o rappresentante del popolo triestino insignito per nomina partitica del laticlavio senatoriale, si dia dunque da fare a difesa almeno degli interessi, se non della salute, dei suoi concittadini. Ma di rinforzo dichiara che “a Servola non si sta bene – perché a Valmaura, Chiarbola, San Sabba-Monte San Pantaleone, Campi Elisi e Muggia, invece si sguazza nell’oro – ma da qui a dimostrare una correlazione tra le emissioni della Ferriera e le malattie ce ne vuole, si muore anche per il fumo delle sigarette e lo smog del traffico”. Già: infatti anche nell’audizione consiliare era molto gettonata la parola “disagio”. Insomma i nostri morti, i nostri ammalati e sofferenti si rassicurino, non hanno di che preoccuparsi, è solo un fastidioso e passeggero disagio, al massimo si rivolgano ad uno psicanalista. Per i nomi? Chiedere al Comune che di pazzi se ne intende. Ma allora ha ragione Berlusconi !!! » Inviato da valmaura il 24 June, 2014 alle 11:00 am Spiace un po’ doverlo riconoscere ma allora si è costretti a dare ragione a Silvio Berlusconi, quando parla di “accanimento più che giudiziario, discriminatorio nei suoi confronti”. Anche se il Segretario del PD, nonché Presidente del Consiglio, Matteo Renzi pare infischiarsene con la giustificazione che Berlusconi pregiudicato è pur sempre il leader della seconda coalizione politica italiana che ha raccolto milioni di voti. Al contrario di Pietro Nardi. Leggere sul piccolo giornale di oggi, che sull’invito mandato a firma Furlanic, Presidente Consiglio comunale di Trieste, nell’elenco dei destinatari forse per pudore non appare, giovedì prossimo nella Casa dei Triestini, la Sala comunale del Municipio, è stato invitato a parlare un condannato a otto anni e sei mesi, in quanto il Tribunale di Taranto lo ha ritenuto responsabile della morte di una decina di lavoratori dell’Ilva, oltre ovviamente alla sua quota parte di risarcimento dei 3 milioni e 500.000 euro decisi quale provvisionale sempre dai giudici, sinceramente è un fatto senza precedenti nella storia di Trieste. Nell’aula dove sedettero, tra i tanti, Michele Miani e Bruno Pincherle, ospitare quale relatore Pietro Nardi, il condannato in primo grado, solo perché in un Paese chiacchierone, incoerente ed amorale quale il nostro è nessuno ha provveduto a rimuoverlo su due piedi dall’incarico governativo di Commissario liquidatore della fallita Lucchini, è cosa assolutamente inconcepibile, quasi quanto quell’assessore regionale alla cultura, iniziali di rigore minuscole, Gianni Torrenti che continua a rimanere assessore dopo la storiaccia dei finanziamenti alla sua campagna elettorale da parte della Cooperativa Bonawentura, di cui era al tempo presidente, assegnataria di un contributo regionale di 440.000 euro per il 2014 dalla Regione su proposta dello stesso Torrenti. E tutti tacciono. Stanno zitti in primis i 5 Stelle che per un semplice avviso di garanzia hanno depennato candidati dalle loro liste. Tacciono l’Italia dei Valori (quali, Cetin?), lo “storico” patrick karlsen, degli illyani, i civici di complemento al Cosolini e tace soprattutto il PD e la sinistra, che pure nella tutela dei lavoratori - della vita!, signori - e della solidarietà e giustizia affermano di fare principi ispiranti delle loro esistenze. Oppure i “daspo, gli alti tradimenti” renziani sono frottole un tanto al chilo? E si che in Regione impera la Serracchiani, il braccio sinistro di Matteo, e tra un concertone e una “olimpiade delle clanfe” forse il sindaco poteva trovare il tempo di telefonare all’amico Premier per sollevare il problema, lo scandalo Nardi. Il condannato in primo grado giovedì 26 è improbabile che si faccia vedere a Trieste, ma è il gesto, la forma, e vorremmo conoscerla anche noi giusto per non essere invitati di serie “B” visto che il Nardi non compare tra gli invitati ufficiali, che qui ci interessa come dovrebbe interessare tutti coloro che hanno a cuore la dignità dei triestini e delle istituzioni a partire dal nostro Comune. Altra curiosità che riportiamo integralmente dal testo, breve, dell’invito: “Per consentire di affrontare la questione della Ferriera di Servola in un quadro complessivo che permetta di seguire l’evolversi della situazione dopo la presentazione del Piano industriale (QUALE E QUANDO MAI?) così come preannunciato dal Sindaco nell’incontro con le Organizzazioni Sindacali (le iniziali maiuscole sono così come nel testo) in Conferenza dei capigruppo del 16.5.14.” Ecco magari mancava l’invito al mago Otelma, visto che pare dura “seguire l’evolversi della situazione dopo un piano ….” che non solo non è stato mai presentato ma che, osiamo, non è stato ancora scritto. La pagliuzza e la trave. » Inviato da valmaura il 14 June, 2014 alle 12:51 pm Lo scrivono anche i Vangeli, e da 2000 anni, ma sembra non fare testo a Trieste e Regione. Dunque ieri il Gruppo dei consiglieri regionali del Movimento 5 Stelle ha chiesto pubblicamente le dimissioni dal Consiglio regionale FVG di Franco Rotelli (PD) e Presidente della Commissione Sanità. La motivazione? Una condanna del Tribunale Amministrativo confermata in appello ed onorata con il pagamento da parte dello stesso Rotelli di un risarcimento, in forma ridotta come da legge, di 122.000 euro a favore dell’ASS triestina di cui era, al tempo del fatto, direttore. Le ragioni del contendere? L’aver rimborsato, come Azienda Sanitaria, le spese per le visite e gli esami del centro di Medicina Sportiva di Trieste, non più convenzionato con l’ASS. Ovviamente nessuno ha contestato che le visite agli atleti non ci siano state o che gli esami non siano stati effettuati, semplicemente mancavano, scusateci l’espressione, i bolli della convenzione in modo da legittimare il rimborso delle spese sostenute dall’ambulatorio di medicina dello sport. Che ha comunque garantito un servizio di legge al pubblico. E pertanto, in estrema sintesi, l’allora responsabile dell’ASS, Franco Rotelli, è stato dunque condannato a risarcire di tasca sua il danno. La condanna era nota da tempo, ben prima delle elezioni regionali che hanno portato Rotelli ad essere eletto, con oltre 1300 voti di preferenza in Consiglio FVG. Dunque si può legittimamente supporre che chi gli ha dato il voto lo sapesse. E’ passato quasi un mese dalla condanna in primo grado del Tribunale di Taranto, otto anni e sei mesi più quota a parte della provvisionale risarcitoria di 3 milioni e 500.000 euro, a carico del Commissario Governativo Pietro Nardi per la responsabilità avuta nella morte per mesotelioma pleurico (amianto) e tumori di 28 lavoratori dell’ILVA di Taranto (a lui direttamente ne sono imputati dieci). Ed è sotto indagine, sempre della Procura di Taranto, per le morti di altri lavoratori in nuovi procedimenti. Il Nardi, che è l’interfaccia dei giudici del fallimento Lucchini e ne possiamo immaginare il non poco imbarazzo, dei giudici intendiamo, siede in Regione FVG, in Comune di Trieste, in Prefettura ai tavoli istituzionali per la Ferriera di Trieste, appunto Gruppo Lucchini, con i vari Cosolini, Serracchiani, e sindacalisti che tutelano i lavoratori colleghi dei morti di Taranto e degli 83 ammalatisi e morti per mesotelioma e tumore, nel periodo 2000-2012, alla Ferriera di Trieste, come dimostrato dalla perizia dell’ASS triestina. Fino ad oggi, salvo il Circolo Miani e Servola Respira, nessuno e ribadiamo nessuno ha posto il problema di come quest’uomo possa continuare a ricoprire tale incarico che, ricordiamolo, è di nomina del Governo (fu indicato dal Ministro Passera dell’allora Governo Monti). Non abbiamo memoria di alcuna interrogazione parlamentare, regionale e financo comunale che ne chieda l’immediata rimozione, né presa di pubblica posizione in tal senso. Domanda: secondo voi quale è la pagliuzza e quale la trave in questi due episodi? Trieste. Non smettere mai di stupirsi ! » Inviato da valmaura il 10 June, 2014 alle 11:54 am Francesco Cobello, direttore generale dell’Azienda ospedaliera di Trieste, dichiara che al Pronto Soccorso di Cattinara tutto è a posto. Che le persone, certamente non in buona condizione di salute, siano costrette ad aspettare in media sei, otto ore quando va bene prima di essere “trattate” è per lui un dato assolutamente nella norma. Un vizio antico questo delle interminabili attese dei sofferenti, spesso con amici o parenti al seguito, al Pronto Soccorso dell’ospedale del Capoluogo di Regione, che avevamo denunciato sia nelle trasmissioni autogestite su TeleAntenna, nel 2005 sia nelle inchieste del mensile del Circolo Miani nel 1990. Ma da allora nulla è cambiato se non in peggio, vedi le sorti del Burlo e dello stesso Cattinara. Le soluzioni? Semplici ed a costo zero. Mandare il direttore che dichiara ciò a “servire” al Pronto Soccorso, e con lo stipendio degli operatori perbacco, ogni giorno fino al suo pensionamento. Affiancarlo con i politici triestini e regionali che da anni sono responsabili o indifferenti a questo sfascio sulla pelle dei triestini. O, se preferite, augurar loro un accidente e una volta andato a buon fine l’invito scaramantico, vederli fare la trafila dei comuni mortali in quel Soccorso che tutto è meno che “Pronto”. Tiremm innanz … Esiste ancora la dignità? La sana indignazione? Non ci interessa la parte politica ma le persone oneste che credono nella politica come servizio, ovunque esse stiano, o per chi votino o non votino, come possono rimanere inerti dinanzi ad un caso così smaccatamente eclatante come quello descritto nell’articolo del Messaggero Veneto, e che riportiamo in calce. Prima alcune brevi considerazioni. Il quotidiano di Udine fa parte dello stesso gruppo Finegil-Espresso-Repubblica proprietario anche del piccolo giornale di Trieste: hanno perfino le rotative in comune. Orbene come è possibile che il quotidiano di Trieste a tre settimane quasi dal servizio dei colleghi di Udine non abbia ripreso la notizia, per altro riportata in grande evidenza sul giornale del Friuli? Eppure Torrenti è triestino, rappresenta il PD giuliano nella Giunta regionale, la Cooperativa Bonawentura ed il Teatro Miela sono a Trieste, in piazza Duca degli Abruzzi 3 e allora come si spiega questo anomalo silenzio? In nome dell’etica professionale del giornalismo nostrano? Oppure solo le beghe del TLT fanno notizia. Eppoi le spiegazioni di Torrenti, che evidentemente trova la questione, a leggere l’articolo del Messaggero, perfino spiritosa, ricordano molto quelle del primo Formigoni e di Penati, anche loro aiutati dai contributi dei loro amici, per Penati proprio una associazione culturale milanese da lui fondata, nel sostenere le spese elettorali. Con un particolare, che se la spesa dichiarata dal Torrenti e riportata in Regione è quella scritta sul Messaggero (11.500 euro e spiccioli) il contributo della Cooperativa, ancora a guida Torrenti (si dimetterà, così riporta il quotidiano udinese, appena dopo le elezioni quando la Serracchiani lo ripescherà nominandolo assessore regionale) ha coperto praticamente il 90 % (10.000 euro) della propaganda elettorale di Torrenti, candidato non eletto nelle liste del PD triestino di cui era anche il tesoriere provinciale (si dimetterà da questo incarico alcuni mesi dopo la nomina ad assessore indicando nella sua segretaria in Regione il successore). Ed ancora. Fino a prova contraria dovrebbe sempre esistere il contributo pubblico per i gruppi e partiti che partecipano alle elezioni regionali, e pertanto se uno desidera stamparsi propaganda personale che se la paghi di tasca sua. E se è vero che la Cooperativa Bonawentura-Teatro Miela è una associazione tra privati e altresì vero che in questi anni non si sono contati i salvataggi pubblici, con denaro della Regione in primis, tanto da ipotizzare, pronti a ricrederci, che la parte preponderante del bilancio di questa realtà sia composta da contributi pubblici. In quanto al mondo della cultura di Trieste che, come dichiara il Torrenti “ha puntato su di me”, allora questo mondo deve essere messo molto male se ha fruttato solo alcune centinaia di preferenze. Buona lettura a tutti e dopo qualcuno si scandalizza ancora per quello che accade in giro per l’Italia. MESSAGGERO VENETO – Udine 23 maggio 2014. Servizio di Anna Buttazzoni. Finanziata la Coop che sostenne l'assessore Torrenti Bonawentura è sponsor della campagna elettorale e ha fondi dalla Regione. L’assessore: non è inopportuno, basta ipocrisie di Anna Buttazzoni UDINE. Non fa una piega l’assessore alla Cultura Gianni Torrenti. Anzi, ci scherza su. «Visto il risultato, quelle risorse non sono neanche state sufficientemente utili». Il caso va maneggiato con cura. Gli ingredienti sono i soldi e l’opportunità. I fatti. Alle regionali dell’aprile 2013 Torrenti era candidato tra le file del Pd. Per la sua campagna elettorale ha speso 11 mila 585,31 euro. Il finanziamento maggiore è venuto dalla cooperativa Bonawentura che gli ha consegnato 10 mila euro, per aiutarlo a essere eletto. Ma chi è la coop Bonawentura? È la società che gestisce lo spazio e la programmazione del Teatro Miela di Trieste, teatro di cui Torrenti è stato presidente negli ultimi 15 anni. La coop Bonawentura viene finanziata dalla Regione, dal settore della Cultura, da tempo. Come gli altri teatri del Fvg, l’attività del Miela trova spazio e risorse nella Finanziaria, cioè la legge regionale per il bilancio di previsione. Nella Finanziaria 2014, approvata a dicembre, la coop Bonawentura ha ricevuto 440 mila euro. È stato il primo bilancio gestito dal governo regionale di centrosinistra che non ha voluto penalizzare la Cultura, incrementando il settore di 4 milioni rispetto alla previsione iniziale di 22 milioni programmata dal centrodestra un anno prima. L’assessore è Torrenti che in aprile non venne eletto, ma che la presidente Debora Serracchiani ha voluto in giunta come esponente tecnico alla Cultura. Il finanziamento della cooperativa alla campagna elettorale di Torrenti e il contributo ricevuto dalla Regione stanno in atti pubblici. E non esistono reati o abuso. È tutto regolare. Ma è anche opportuno? Per Torrenti sì, anzi è bene smettere d’essere ipocriti. «Non ritengo che ci sia nulla di inopportuno. Esiste una legge – sostiene Torrenti – che regolamenta il finanziamento di persone e aziende alle campagne elettorali e tutti i dati vengono resi noti e sono trasparenti. Sarebbe bene, invece, smettere d’essere ipocriti. I soldi che la cooperativa ha dato a me sono rendicontati e soprattutto non sono soldi che la Bonawentura ha preso dallo stanziamento che riceve dalla Regione, sono risorse private della cooperativa. Per me l’importante è che ci fosse trasparenza e infatti ogni dettaglio è stato dichiarato, comunicato e pubblicato». Torrenti all’inizio del maggio 2013 si è dimesso dalla presidenza del Teatro Miela, appena nominato assessore regionale. «Ogni settore economico e sociale candida qualcuno – aggiunge l’assessore – e il settore della cultura di Trieste ha puntato su di me. Tutti i settori economici hanno rapporti con le pubbliche amministrazioni ed è normale che, nel rispetto dalla legge, le campagne elettorali vengano finanziate da qualcuno e che quel qualcuno siano le persone e le realtà più vicine al candidato. Vero. Com’è vero che tra amici i favori si fanno e, se si può, si rendono. Il Roberto senza memoria. » Inviato da valmaura il 6 June, 2014 alle 11:28 am Ahi, ahi, ahi Antonione, è lui il Roberto in questione, ma cosa dici mai? “Non sono d’accordo. Per esperienza personale ho verificato che si possono costruire infrastrutture nel rispetto delle regole. Penso alla Grande Viabilità Triestina …” Questa, parte della risposta ad una delle domande contenute nell’intervista pubblicata a tutta mezza pagina (nella mezza di sotto si intervista il consigliere ombra di Galan per una dozzina di anni: il “comunista” come lui si definì pubblicamente, Miracco, oggi assessore alla cultura del Comune di Trieste) del piccolo giornale di oggi. Gli rinfreschiamo noi la memoria e gli diamo soccorso, visto che chi lavora per il giornale locale fa impallidire “lo smemorato di Collegno”. Ben tre dei cinque lotti iniziali della Grande Viabilità Triestina furono al centro della prima Tangentopoli, il cui contagio guarda caso anche allora partiva dal vicino Veneto. Per meglio chiarire anche ai distratti triestini o ai troppo giovani allora il ruolo che il Circolo Miani ha avuto dal 1981 a Trieste ed in Regione, riportiamo qui di seguito parte del servizio stampato sul mensile edito dalla nostra Associazione, allora il più diffuso nelle edicole di Trieste, “Nuova Società” nel numero di maggio del 1992 sotto il titolo “Il gioco del Monopoli. Affari e politica, politica ed affari”. Una sola avvertenza questo servizio riassumeva in quattro pagine alcune delle inchieste sulla Tangentopoli triestina ed in parte regionale, che il mensile aveva pubblicato, in piena solitudine che già allora il piccolo giornale era distratto così come gli altri organi di stampa radiotelevisiva regionali, a partire dalla fine degli anni ottanta. “No pare che di queste cose non interessi una banana se è possibile che venga proposta la ditta Grassetto quale assegnataria dei lavori per l’eternamente ultimo primo lotto di quel mostro di deficienza architettonica e funzionale che ha nome di Superstrada. Ma chi è la Grassetto? No, non è il simpatico nomignolo di una signora un po’ soprappeso, è una rampante ditta edile facente capo al potentissimo finanziere siculo-meneghino Salvatore Ligresti (Alt! Un nome che oggi tutti dovrebbero conoscere dopo gli arresti, suo e dei figli, per lo scandalo Fondiaria Sai, Premafin, nella fusione Unipol). Che tanto lavoro da a noi giornalisti nel seguire i suoi diversi processi per gli scandali milanesi delle “aree d’oro”. Insomma un personaggio sempre più chiacchierato nelle stanze della Procura della Repubblica (per intendersi di quelle di Borrelli, D’Ambrosio, Colombo, Davigo e Di Pietro a Milano) e che, ma pensate un po’, nel 1978 acquistò la Sai, per chi non lo sapesse è la seconda compagnia assicurativa italiana, pur dichiarando al fisco un reddito di 30 (trenta) milioni (di lire). Pensionati di prima, se ci siete battete un colpo e preparate gli assegni che forse il Lloyd Adriatico (oggi Gruppo Allianz), che è solo la quarta assicurazione in Italia, ce la vendono per meno. Orbene la Grassetto dopo aver costruito il primo lotto della Superstrada, quello detto dell’Autoscontro, che va dai Campi Elisi a Valmaura e che fu inaugurato, eravamo sempre in campagna elettorale, appunto da Amintore Fanfani, oltre all’affare dei guardrail dovrebbe pure aggiudicarsi questo nuovo appalto. Ah, che c’entra il guardrail domanderete? Ci entra, eccome. Pensate che dopo aver aperto il primo tratto di questo pozzo senza fondo che qui a Trieste chiamano “Grande Viabilità”, strane usanze locali, si accorsero che l’altezza di questo famoso guardrail non era regolamentare, cioè era di sette centimetri più basso. Ovvero le vetture che ci sbattevano contro le tratteneva, per i camion ed i Tir ci pensavano le case sottostanti. Forse i progettisti erano stati tratti in inganno dalla statura fisica del ministro Fanfani. E, sempre a causa di questa “svista” e del conseguente palleggio di responsabilità per i mancati controlli tra Regione e Comune, la Grassetto, giù di peso, ingurgitò subito altri due miliardi per cambiare i guardrail appena installati ma inutili. Pura combinazione il fatto che gli uffici e gli studi professionali di questi progettisti regionali, così come le loro abitazioni e pure i conti in banca – ma che indiscreti -, venissero poi perquisiti dai Carabinieri che in aggiunta consegnarono loro pure delle comunicazioni giudiziarie staccate dalla Procura di Venezia per qualche milioncino sottobanco incassato per i favori fatti a due ditte venete (Rizzi e Furlanis, i cui titolari progettarono per un periodo ai Piombi di Venezia, dove fu ospitato anni addietro pure quel reprobo di Silvio Pellico ma in un altro contesto), che costruirono altri due lotti della nostra Superstrada. Basta neh! No, non basta. E non è colpa nostra se la realtà è peggiore di un incubo. Se oggi (1992) i padroni della Grassetto, in procinto di costruire di nuovo a Trieste per conto del Comune, ricevono un’ennesima comunicazione giudiziaria, sempre dalla Procura di Venezia, per lo scandalo degli appalti e delle tangenti che riguardano l’aereoporto di Venezia, la terza corsia autostradale per Padova, il Ministro DC ai Trasporti Carlo Bernini, il segretario del Ministro PSI agli Esteri Gianni De Michelis, il socialista triestino Giorgio Casadei. Ma qui che fanno? A Trieste tutti ciechi, sordi e muti?” Una situazione già vista oggi, verrebbe da dire. Comunque, caro Roberto, in Tangentopoli finirono allora tre dei cinque lotti della Grande Viabilità Triestina (dai Campi Elisi fino all’ospedale di Cattinara, per intendersi) e diversi funzionari regionali FVG e non Veneto, i cui nomi scritti in chiaro con accanto le cifre pagate furono trovati dai carabinieri, agli ordini del Giudice Istruttore Ivano Nelson Salvarani del Tribunale di Venezia, sul registro nascosto nel “caveau” interrato della famiglia Rizzi. Eppoi sarebbe sempre interessante porsi alcune domande. Del tipo, come mai i costi per la costruzione dello stadio Rocco sono triplicati (33 miliardi contro gli 11 della gara d’appalto), idem dicasi per il nuovo Palasport e non lontano sono finiti i costi per il rifacimento del Verdi. E ci fermiamo qui perché troppo fosforo in una volta sola può nuocere all’organismo e tu sai che Ti vogliamo bene. Riproduzione autorizzata solo con la citazione della fonte. |
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