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Circolo Miani » News Correnti » Page 273 FERRIERA. Tra il dire ed il fare. » Inviato da valmaura il 27 September, 2018 alle 2:19 pm Dal 1998, ovvero da quando Servola Respira e Circolo Miani hanno prepotentemente portato all’attenzione dell’opinione pubblica cittadina e regionale la questione Ferriera, e dal 2001, da quando le forze politiche, nel tentativo di intercettare il grande movimento d’opinione e di lotta in atto da tre anni a Trieste, in occasione delle elezioni per il rinnovo del Comune lo hanno cavalcato per raccattare voti (in particolare il Centrodestra e Dipiazza) pur senza minimamente conoscere il problema, che sulla chiusura della Ferriera si sono sprecati fiumi di parole, promesse e dichiarazioni. Nel 2001, 2006 e fino alle ultime comunali 2016 e regionali 2018 sulla questione Ferriera si è giocato l’esito delle elezioni. Il Centrodestra: da Dipiazza a Tondo e Fedriga è stato una fiumana di NO, ovvero del chiudere subito la fabbrica, cosa per altro che chiedeva e voleva pure la stessa vecchia proprietà Lucchini prima che i Tribunali chiudessero lei per fallimento. Il Centrosinistra: partito dalle sciagurate dichiarazioni a favore della Lucchini del sindaco Illy, con gli anni tra una bastonata elettorale e l’altra si era posizionato sul NI fino a convertirsi al NO nel 2012. I Cinque Stelle fin dall’inizio sono andati a ruota del Centrodestra, con dichiarazioni ed atti in fotocopia. In questo contesto stampa e televisioni che disgraziatamente abbiamo in trista sorte di avere a Trieste ed in Regione hanno fiancheggiato pedissequamente le posizioni dei partiti di riferimento almeno a partire dall’anno 2001. Ovviamente tutto questo avveniva senza che i ciarlieri protagonisti e descrittori avessero la minima idea e conoscenza dei veri problemi, delle cause e dei danni che questi provocavano a cittadini e lavoratori, e del ciclo produttivo della Ferriera. Così ogni uscita pubblica dei politici o di sigle di comitati loro satelliti sorti negli ultimi anni, assumeva il sapore non di una insipida minestra riscaldata ma di “novità” agli occhi dell’opinione pubblica, permettendo a questo sistema di prosperare e lucrare per quasi due decenni, senza minimamente risolvere i problemi. Era ovvio e necessario per proseguire la presa in giro e la strumentalizzazione far tacere Circolo Miani, Servola Respira e Maurizio Fogar: cancellare dalla memoria le centinaia di assemblee, manifestazioni e cortei da loro organizzati (dall’assedio del Consiglio regionale in piazza Oberdan all’occupazione del Municipio per citarne due) con la partecipazione di svariate migliaia di persone. Insomma azzerare la memoria dei fatti per ricondurre il tutto nell’alveo della politica e degli affari. Ed ogni mezzo era buono: dalla denigrazione calunniosa alla diffamazione, dalla censura di stampa e televisioni ad accuse fantasiose subito smontate dalla magistratura. In questo tutte concordi e trasversali le forze politiche con gli ascari di complemento. Dal PD ai Cinque Stelle, dal vecchio al nuovo Centrodestra. Ma ora sono alla frutta. La collaborazione ed il confronto in corso tra Circolo Miani e Servola Respira da un lato e la nuova proprietà e direzione della Ferriera dall’altro sta iniziando a dare i primi risultati che tutti possono notare. Le ragioni di questa scelta le abbiamo più volte motivate e scritte. In presenza di una totale inerzia di Istituzioni pubbliche (Comune e Regione) ed Enti di controllo (tutti) che per decenni hanno rifiutato anche solo di conoscere a fondo il problema Ferriera. A fronte di una prospettiva di proseguimento delle attività produttive della stessa (Area a Caldo compresa), almeno nel medio termine, come lo stesso duo Scoccimarro-Fedriga ha confermato, Dipiazza non fa testo, ed in attesa di una eventuale scelta di riconversione in attività logistico-portuali dell’area occupata dallo stabilimento da parte della proprietà. Ci è sembrato necessario, vista la disponibilità dimostrata dalla nuova proprietà, avviare un percorso che in tempi ragionevolmente brevi risolva e riduca le principali criticità degli impianti ancora in essere, che, al di là del rispetto dei limiti di legge, sono fonte di costante preoccupazione e fastidio per la nostra comunità. Perché alle chiacchiere abbiamo sempre preferito i fatti. FATE SCHIFO! Di Marco Travaglio » Inviato da valmaura il 26 September, 2018 alle 7:22 pm Autostrade: come incassare pedaggi e risparmiare in sicurezza Noi non lo sapevamo, ma ogni volta che passavamo in auto sul ponte Morandi di Genova fungevamo da cavie di Autostrade per l’Italia, controllata da Atlantia della famiglia Benetton, che “utilizzava l’utenza, a sua insaputa, come strumento per il monitoraggio dell’opera”. Cavie peraltro inutili, inclusi i poveri 43 morti del 14 agosto: “pur a conoscenza di un accentuato degrado” delle strutture portanti, la concessionaria “non ha ritenuto di provvedere, come avrebbe dovuto, al loro immediato ripristino” né “adottato alcuna misura precauzionale a tutela” degli automobilisti. Lo scrive la Commissione ispettiva del ministero, nella relazione pubblicata dal ministro Danilo Toninelli. Autostrade-Atlantia-Benetton “non si è avvalsa… dei poteri limitativi e/o interdittivi regolatori del traffico sul viadotto” e non ha “eseguito gli interventi necessari per evitare il crollo”. Peggio: “minimizzò e celò” allo Stato “gli elementi conoscitivi” che avrebbero permesso all’organo di vigilanza di dare “compiutezza sostanziale ai suoi compiti”. Non aveva neppure “eseguito la valutazione di sicurezza del viadotto”: gli ispettori l’hanno chiesta e, “contrariamente a quanto affermato nella comunicazione del 23.6.2017 della Società alla struttura di vigilanza”, hanno scoperto che “tale documento non esiste”. Le misure preventive di Autostrade “erano inappropriate e insufficienti considerata la gravità del problema”, malgrado la concessionaria fosse “in grado di cogliere qualitativamente l’evoluzione temporale dei problemi di ammaloramento… Tale evoluzione, ormai da anni, restituiva un quadro preoccupante, e incognito quantitativamente, per la sicurezza strutturale rispetto al crollo”. Eppure si perseverò nella “irresponsabile minimizzazione dei necessari interventi, perfino di manutenzione ordinaria”. Così il ponte è crollato, non tanto per “la rottura di uno o più stralli”, quanto per “quella di uno dei restanti elementi strutturali (travi di bordo degli impalcati tampone) la cui sopravvivenza era condizionata dall’avanzato stato di corrosione negli elementi strutturali”. E la “mancanza di cura” nella posa dei sostegni dei carroponti potrebbe “aver diminuito la sezione resistente dell’armatura delle travi di bordo e aver contribuito al crollo”. Per 20 anni, i Benetton hanno incassato pedaggi e risparmiato in sicurezza: “Nonostante la vetustà dell’opera e l’accertato stato di degrado, i costi degli interventi strutturali negli ultimi 24 anni, sono trascurabili”. Occhio ai dati: “il 98% dell’importo (24.610.500 euro) è stato speso prima del 1999”, quando le Autostrade furono donate ai Benetton, e dopo “solo il 2%”. Quando c’era lo Stato, l’investimento medio annuo fu di “1,3 milioni di euro nel 1982-1999”; con i Benetton si passò a “23 mila euro circa”. Il resto della relazione, che documenta anche il dolce far nulla dei concessionari, ben consci della marcescenza e persino della rottura di molti tiranti, lo trovate alle pag. 2 e 3. Ora provate a confrontare queste parole devastanti con ciò che avete letto in questi 40 giorni sulla grande stampa. E cioè, nell’ordine, che: per giudicare l’inadempimento di Autostrade (i Benetton era meglio non nominarli neppure) bisogna attendere le sentenze definitive della magistratura (una decina d’anni, se va bene); revocare subito la concessione sarebbe “giustizialismo”, “populismo”, “moralismo”, “giustizia sommaria”, “punizione cieca”, “voglia di ghigliottina” e di “Piazzale Loreto”, “sciacallaggio”, “speculazione politica”, “ansia vendicativa”, “barbarie umana e giuridica”, “cultura anti-impresa” che dice “no a tutto”, “pericolosa deriva autoritaria”, “ossessione del capro espiatorio”, “esplosione emotiva”, “punizione cieca”, “barbarie”, ”pressappochismo”, “improvvisazione”, “avventurismo”, “collettivismo”, “socialismo reale”, “oscurantismo” (Repubblica, Corriere, Stampa, il Giornale); l’eventuale revoca senz’attendere i tempi della giustizia costerebbe allo Stato 20 miliardi di penali; è sempre meglio il privato del pubblico, dunque le privatizzazioni non si toccano; il viadotto non sarebbe crollato se il M5S non avesse bloccato la Gronda (bloccata da chi governava, cioè da sinistra e destra, non dal M5S che non ha mai governato; senza contare che la Gronda avrebbe lasciato in funzione il ponte Morandi); e altre cazzate. Repubblica: “In attesa che la magistratura faccia luce”, guai e fare di Atlantia “il capro espiatorio di processi sommari e riti di piazza”, “tipici del populismo”. Corriere: revocare la concessione sarebbe “una scorciatoia”, “un errore” e “un indizio di debolezza”. La Stampa: il crollo del ponte è “questione complessa” e nessuno deve gettare la croce addosso ai poveri Benetton (peraltro mai nominati), “sacrificati” come “capro espiatorio contro cui l’indignazione possa sfogarsi”, come nei “paesi barbari”. Parole ridicole anche per chi guardava le immagini del ponte crollato con occhi profani: se lo Stato affida un bene pubblico a un privato e questo lo lascia crollare dopo averci lucrato utili favolosi, l’inadempimento è nei fatti, la revoca è un atto dovuto e il concessore non deve nulla al concessionario. O, anche se gli dovesse qualcosa, sarebbero spiccioli (facilmente ammortizzabili con i pedaggi) rispetto al danno che deriverebbe dalla scelta immorale di lasciare quel bene in mani insanguinate. Ora però c’è pure la terrificante relazione ministeriale, che va oltre le peggiori aspettative. In un Paese serio, o almeno decente, i vertici di Autostrade-Atlantia-Benetton, anziché balbettare scuse o chiedere danni in attesa di farne altri, si dimetterebbero in blocco rinunciando alla concessione, per pudore. E i giornaloni si scuserebbero con i familiari dei 43 morti e uscirebbero su carta rossa. Per la vergogna. Editoriale del Fatto Quotidiano di oggi che condividiamo appieno. https://www.facebook.com/circolo.miani/photos/a.1497907753813521/2298682417069380/?type=3&theater Grazie. » Inviato da valmaura il 24 September, 2018 alle 1:21 pm L’articolo “Dalle leggi razziali alla delazione. Nel DNA di Trieste” ha raggiunto 13.000 (tredicimila) lettori su Facebook. Ha avuto un altissimo numero di “Mi Piace” (tra diretti e indiretti quasi 500), e condivisioni (oltre 100), i “commentatori” sono stati più di 50. Questo a dimostrazione che quando si offrono, anche sui Social Forum, scritti ed articoli seri, ed informazioni che altri non danno, i lettori apprezzano. Per come funziona Facebook ad esempio è il numero delle persone che hanno messo e mettono il loro “Mi Piace” alla Pagina e non solo al Post, e che magari cliccano pure sul tasto “Segui” che determina la diffusione dei contenuti di questa Pagina. Ovvero che aumenta la “tiratura”, come si dice per i giornali. Da qui il nostro costante invito dunque a mettere il vostro “Mi Piace” alla Pagina ed a condividerlo con gli amici. Proprio perché il nostro sforzo è quello di fornire, come un giornale, quotidianamente informazioni e spunti di riflessione su quelli che riteniamo di volta in volta essere i problemi della nostra comunità. E senza guardare in faccia a nessuno, senza alcun partito preso. Detto questo alcuni commentando, pochi per la verità, ci hanno fatto rilevare che gli argomenti da noi trattati nell’articolo sono superati e dunque inutili e che dovremmo piuttosto occuparci delle “rogne” attuali. A parte che molte delle “rogne” odierne che vive la nostra comunità triestina e regionale, derivano anche dal fatto che l’attuale classe dirigente, politica e non, è totalmente digiuna di conoscenza della storia recente delle nostre terre. La foto, che ripubblichiamo, dovrebbe far pensare e capire che parliamo proprio di noi, come quelle che l’accompagnano: la sfilata sulle Rive e gli impiccati nelle scale del Conservatorio Tartini. E di luoghi e posti che frequentiamo giornalmente ignorando quasi sempre cosa hanno “ospitato” e rappresentato. Da qui un invito pubblico a riflettere. “Quante volte siamo passati , magari velocemente, sotto i portici del palazzo nella foto in piazza Oberdan? Magari siamo entrati nel portone per salire negli uffici (Ras ed altri) o siamo andati nella banca che stava sotto i portici, oppure abbiamo preso un caffè nel bar che prima c’era sull'angolo. Anche solo abbiamo sostato in attesa dei Bus. Senza pensare che per quello stesso portone, in quelle stanze, in quegli "uffici" (il Comando triestino delle SS e della Gestapo) centinaia di persone sono entrate non di loro volontà per essere picchiate a sangue, torturate a morte per non uscirne più, e i più "fortunati" per essere caricati come bestie su di un camion e portati in Risiera oppure verso altri campi di sterminio. Fateci caso la prossima volta che ci passate, magari con meno fretta e sforzandovi di pensare cosa provavano i nostri e vostri coetanei quando era spinti dentro calpestando lo stesso nostro e vostro marciapiede dagli sgherri nazifascisti magari per una "soffiata" del vicino di casa.” E per finire qualcuno ci ha chiesto chi siamo e cosa è il Circolo Miani. Alla prima domanda rispondiamo ripubblicando quanto scritto una settimana orsono. “Noi siamo diversi. E lo siamo orgogliosamente quanto naturalmente. Diversi perché facciamo, o meglio cerchiamo di fare, informazione, in un quadro di piattume e bugie. Diversi perché prima di scrivere ci informiamo e ricerchiamo quelle cose che eventualmente conosciamo poco. Diversi perché colti in una società di incolti (il titolo di studio c’entra poco). Diversi perché preparati e competenti in una comunità dove comandano incompetenti ed arroganti. Diversi perché distanti e distinti da una politica e da una classe dirigente più attenta agli affari di pochi che agli interessi di Trieste e del FVG. Diversi perché non abbiamo altra parte politica che gli affanni ed il benessere nostro e della nostra comunità. Diversi perché portiamo il nome di Ercole Miani.” E per la seconda vi invitiamo a leggervi “La nostra storia. Il Circolo Miani per Trieste” in alto a destra sulla Pagina sotto la foto con Gherardo Colombo e Maurizio Fogar. https://www.facebook.com/circolo.miani/photos/pcb.2297238147213807/2297237390547216/?type=3&theater https://www.facebook.com/circolo.miani/photos/pcb.2297238147213807/2297237603880528/?type=3&theater https://www.facebook.com/circolo.miani/photos/pcb.2297238147213807/2297237673880521/?type=3&theater Pietre e uomini. » Inviato da valmaura il 22 September, 2018 alle 2:07 pm Riprende fiato la contestazione contro l’apertura di un Despar “de luxe” con l’ingresso affacciato in piazza Unità. I 1600 firmatari partono da un assioma: chiedono al Comune con a ruota la Sovrintendenza per i Beni artistici ed architettonici di far rispettare l’obbligo per la nuove attività di essere “in sintonia con l’aspetto storico, etnologico ed estetico del contesto”. Perché essi “risulterebbero compromessi dall’apertura di attività commerciali depauperando di fascino ed anima la piazza, patrimonio di portata internazionale e prestigioso simbolo del ’900. L’ambiente è una vera ricchezza per tutta la città, oltre che un patrimonio mondiale.” Parole forti e idee chiare che però omettono di ricordare che il “patrimonio” culturale ed umano della piazza sia sottratto più o meno per tre mesi all’anno dalla fruizione ai triestini ed ai turisti da tendopoli, discariche di tubi innocenti, palchi mostruosi che ne nascondono facciate e prospettive. Di come la stessa piazza diventi per settimane un cantiere all’aperto percorso da Tir, furgoni e muletti. Di come letteralmente sparisca uno dei suoi maggiori pregi: la vista mare oscurata da un interminabile Suk di bancarelle. E sia preclusa e recintata, con la visione dei clienti dei “Caffè storici” direttamente puntata su decine di cessi biologici e cataste di tubi innocenti. Senza mettere in conto le pietose condizioni in cui oramai si trovano le pietre che la ricoprono: scheggiate e frantumate in numerosissimi punti, lordate da zebrature nere dei pneumatici dei mezzi meccanici e da olio motore, a cui si aggiungono vistose e diffuse macchie di bevande e di gomme americane. Vero è che l’allora amministrazione comunale guidata dal Sindaco Illy non poteva fare scelta peggiore nella pavimentazione sua e delle aree circostanti. Togliere i masegni originali per sostituirli con pietre di materiale poroso e friabile fu scelta sbagliatissima, ed i risultati sono chiaramente visibili. Tant’è che la stessa amministrazione comunale cercò di correre parzialmente ai ripari imponendo uno strato di legno protettivo per ogni intervento sulla pavimentazione. Norma oramai finita nel dimenticatoio. Eppoi facciamo fatica a comprendere come “l’obbligo di essere in sintonia con l’aspetto storico, etnologico ed estetico del contesto” non debba valere invece per la limitrofa “pizzeria” Tergesteo una volta Galleria, o per le piazze Verdi e della Borsa. Anche la Galleria, come i locali dove apre il Despar sono di proprietà privata, così come l’immobile dov’è locata la “Pirona” che fu. Eppure salvo noi, che su queste pagine abbiamo scritto fiumi d’inchiostro come si usava dire, nessuna istituzione si è scandalizzata; nessun Magris, Fusaro, Rumiz, Vida, Crivelli o Weber ha preso la penna in mano. Così come nessuno di loro ha raccolto le nostre denunce sull’emergenza povertà in cui sono lasciate migliaia di famiglie triestine dall’inettitudine delle pubbliche amministrazioni, oppure sull’indecente degrado in cui versano colpevolmente da decine di anni tutti i quartieri semiperiferici di Trieste. Che per loro gli esseri umani valgano meno delle pietre, seppure belle? Un vostro “Mi Piace” alla Pagina Facebook Circolo Miani e non solo all’articolo, ci sarà di grande aiuto. https://www.facebook.com/circolo.miani/photos/pcb.2295577427379879/2295578004046488/?type=3&theater https://www.facebook.com/circolo.miani/photos/pcb.2295577427379879/2295578140713141/?type=3&theater Dalle leggi razziali alla delazione. Nel DNA di Trieste » Inviato da valmaura il 20 September, 2018 alle 10:23 am Francamente qui siamo al grottesco ma anche all’inquietante, soprattutto nello zelo delatore e spontaneo dei triestini, che disvela una certa natura presente in città. Non molto diversa da quella che spinse una percentuale alta di concittadini a inondare di denuncie anonime e non il comando delle SS di piazza Oberdan negli anni 1943/45 tali da spingere il comandante, “il Boia di Lublino” Odilo Lotario Globocnik, triestino di nascita, a scrivere una pressante richiesta ad Adolf Eichmann al Comando centrale delle SS a Berlino, per urgente invio di personale ispettivo per dare corso a tutte le denuncie. Nella seconda guerra mondiale la tanto rimpianta Austria fornì al Partito Nazista un numero di iscritti superiore alla stessa Germania, in proporzione alla popolazione, e di dirigenti e criminali di guerra. A Trieste nacque e visse la sua gioventù Odilo Lotario Globocnik, triestino “domacio”, figlio di un impiegato austriaco e di una slovena. Uno dei più feroci criminali di guerra del Terzo Reich. “Globus” fu mandato ad aprire i campi di sterminio di Belzec, Sobibor e Treblinka, dove furono liquidati centinaia e centinaia di migliaia di ebrei polacchi, e non solo, prima di venir rispedito nella natale Trieste a comandare il corpo delle SS e della Gestapo e ad aprire il campo di concentramento e sterminio della Risiera di San Sabba (circa 5000 tra antifascisti, ebrei, sloveni massacrati e bruciati nel forno crematorio). Ovviamente per far funzionare la loro rete poliziesca gli occupanti nazisti avevano bisogno della piena e fattiva collaborazione dei fascisti triestini. Che ottennero oltre ogni misura ed aspettativa. Così come ottennero subito la pronta collaborazione degli industriali locali, di cui un esponente fu nominato Podestà, fantoccio, dagli occupatori tedeschi. La seconda parte del processo per i crimini commessi in Risiera, quella riguardante proprio il diffuso collaborazionismo locale, fu più volte annunciata ma mai aperta. Sarebbe il caso che qualche serio storico se ne domandasse le ragioni. Dagli archivi delle SS alla Tiergartenstrasse di Berlino sequestrati dalle truppe americane emergerà che Trieste fu la città, nell’Europa occupata dai nazisti, con il più alto tasso di collaborazionismo spontaneo con i tedeschi. Analogamente, durante i 40 giorni dell’occupazione Yugoslava di Trieste, una settimana dopo la liberazione, il Comandante della piazza, un generale croato, fece affiggere sui muri della città un manifesto dove si comunicava che da quel giorno il Tribunale del Popolo, istituito per processare i collaborazionisti nazisti e fascisti, non avrebbe più preso in esame le denuncie anonime. Perché anche allora tantissime erano state le delazioni spontanee, anonime e non. La ragione di questo comportamento evidentemente insito nel DNA dei triestini? Non certo una adesione a due ideologie per altro contrapposte, ma semplicemente la volontà di regolare vecchi rancori personali, invidie, bramosie di ricchezza (le delazioni erano premiate con denaro e beni, mobili ed immobili magari dei denunciati). Per questo il Gauleiter della Carinzia da cui dipendeva Trieste, Friedrich Rainer, quando veniva in città, faceva suonare l’Inno a San Giusto, anche alle prime teatrali. E perché? Semplice voleva far forza sulle nostalgie austriacanti di parte dei Triestini per far dimenticare la parentesi italiana e far meglio accettare la nuova identità tedesca. Un vostro "Mi Piace" alla PAGINA Facebook Circolo Miani e non solo all'articolo, sarebbe gradito ed utile. Nella foto l'ufficio di "Globus": il comando delle SS in piazza Oberdan. https://www.facebook.com/circolo.miani/photos/a.1497907753813521/2294250764179212/?type=3&theater |
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