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Circolo Miani » News Correnti » Page 245

35 anni dopo e pare domani.

» Inviato da valmaura il 11 June, 2019 alle 12:26 pm

"I partiti? Solo potere e clientela".
Così Berlinguer lanciò l'allarme.

"I partiti non fanno più politica", dice Enrico Berlinguer, ed ha una piega amara sulla bocca e nella voce come un velo di rimpianto. Fa una curiosa sensazione sentirgli dire questa frase. Siamo immersi nella politica fino al collo: le pagine dei giornali e della tv grondano di titoli politici, di personaggi politici, di battaglie politiche, di slogan politici, di formule politiche, al punto che gli italiani sono stufi, hanno ormai il rigetto della politica e un vento di qualunquismo soffia robustamente dall'Alpi al Lilibeo...
"No, non è così", dice lui scuotendo la testa sconsolato. "Politica si faceva nel 1945, nel 1948 e ancora negli anni Cinquanta e sin verso la fine dei Sessanta. Grandi dibattiti, grandi scontri di idee e, certo, anche di interessi corposi, ma illuminati da prospettive chiare, anche se diverse, e dal proposito di assicurare il bene comune. Che passione c'era allora, quanto entusiasmo, quante rabbie sacrosante! Soprattutto c'era lo sforzo di capire la realtà del Paese e di interpretarla. E tra avversari ci si stimava. De Gasperi stimava Togliatti e Nenni e, al di là delle asprezze polemiche, n'era ricambiato".
Oggi non è più così: i partiti hanno degenerato e questa è l'origine dei malanni d'Italia.
Non voglio dar giudizi e mettere il piede in casa altrui ma i fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti.
I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela; scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società, della gente; idee, ideali, programmi pochi o vaghi; sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss".
La degenerazione dei partiti è il punto essenziale della crisi italiana.
"I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire.
E il risultato è drammatico. Tutte le "operazioni" che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura dei vantaggi e rapporti di clientela; un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti".
Anzitutto: molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di riceverne, o temono di non riceverne più. Vuole una conferma di quanto dico? Confronti il voto che gli italiani hanno dato in occasione dei referendum e quello delle normali elezioni politiche e amministrative. Il voto ai referendum non comporta favori, non coinvolge rapporti clientelari, non mette in gioco e non mobilita candidati e interessi privati o di un gruppo o di parte. È un voto assolutamente libero da questo genere di condizionamenti. Ebbene, sia nel '74 per il divorzio, sia, ancor di più, nell'81 per l'aborto, gli italiani hanno fornito l'immagine di un Paese liberissimo e moderno, hanno dato un voto di progresso. Al nord come al sud, nelle città come nelle campagne, nei quartieri borghesi come in quelli operai e proletari. Nelle elezioni politiche e amministrative il quadro cambia, anche a distanza di poche settimane. Ma io credo di sapere a che cosa lei pensa: poiché noi dichiariamo di essere un partito "diverso" dagli altri lei pensa che gli italiani abbiamo timore di questa diversità".
"Qualcuno, sì, ha ragione di temerne, elencherò per punti molto semplici in che consiste il nostro essere diversi, così spero non ci sarà più margine all'equivoco. Dunque: primo, noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione: e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l'operato delle istituzioni. Ecco la prima ragione della nostra diversità. Le sembra che debba incutere tanta paura agli italiani?".
La questione morale oggi è al centro della questione italiana.
"La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell'Italia d'oggi, fa tutt'uno con l'occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché gli altri partiti possono provare d'essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. Ma poi, quel che deve interessare veramente è la sorte del Paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi: rischia di soffocare in una palude. Ma non è venuto il momento di cambiare e di costruire una società che non sia un immondezzaio?".
Enrico Berlinguer. 28 luglio 1981.

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Tagliateglielo quel dito!

» Inviato da valmaura il 10 June, 2019 alle 10:39 am

Ieri prima dell'inizio della partita Triestina-Pisa passerella del podestà allo Stadio Rocco sotto la Curva Furlan ed orgogliosa esibizione del dito medio, sempre beninteso come “pressione psicologica” sui Pisani. Sarebbe il caso di istituire un corso di laurea in psicologia applicata quanto iettarice.

E dunque non poteva andare come poi è finita: Pisa, meritatamente in serie B.

Insomma come il sequel o se preferite “l'assassino ritorna sempre sul luogo del delitto” dei playoff di basket.

O glielo tagliate quel dito, anzi diti che di medi ne esibisce spesso in coppia, o gli inibite gli ingressi a Palasport e Stadi. Ne va del futuro dello sport cittadino.

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La “Voce della Gru”.

» Inviato da valmaura il 8 June, 2019 alle 12:22 pm

Ammetto di conoscere superficialmente storia e vicenda personale di Marcello Di Finizio, seguita solo dagli articoli di giornale, se così vogliamo definire il foglio di Trieste. E dunque non parlerò di lui.
Affronto anche qui invece un tema che mi e ci (Circolo Miani) è caro: l'estinzione in questa città, e non mi riferisco alla politica ove non vi è più traccia da tempo, di due valori quali l'umanità e la solidarietà.
Il suo caso, ma assolutamente non è che uno dei tantissimi presenti nella nostra comunità (ha senso ancora usare questo termine?) altro non è che un lucido termometro di cosa sia Trieste oggi.
Maurizio Fogar

Per le foto, vedere la Pagina facebook (aperta e visibile a tutti) Circolo Miani.




Sanità Triestina: dolce far niente.

» Inviato da valmaura il 6 June, 2019 alle 10:56 am

“Mi farò garante che rappresenterò, se eletto sindaco (pardon podestà), gli interessi della sanità triestina alla prima riunione dell’Osservatorio regionale sulla Salute”. Solenne impegno assunto nel 2016 dal candidato Dipiazza all’assemblea del Sindacato medici Ospedalieri, allora guidato da Laura Stabile.

Ora due son le cose: o questo fantomatico “Osservatorio” esisteva solo nella mente del candidato Dipiazza oppure se esiste non deve mai essersi riunito perché l’eletto podestà sulla sanità triestina, o meglio sull’aggravarsi dell’emergenza, in tre anni non ha mai speso parola.

Ora il problema è proprio questo. Ovvero con il peggiorare oltre ogni più funerea previsione dell’emergenza sanitaria a Trieste (Ospedali di Cattinara e Burlo Garofalo, depotenziamento Distretti sanitari territoriali, lo scandalo del “Pronto Soccorso” ed i tempi biblici per analisi e visite specialistiche) il Comune di Trieste non ha praticamente mai, in questi anni, aperto bocca.

Qualcuno potrà obbiettare che da anni le competenze sono passate alla Regione, e formalmente avrebbe ragione, ma sono le tasse dei cittadini di Trieste a pagare questa sanità, e comunque il primo cittadino dovrebbe avere come sua prima preoccupazione la salvaguardia e la tutela della salute dei suoi concittadini. Appunto come con la Ferriera direte voi.

Resta il fatto che una persona di buon senso e dotata di un minimo di umanità in questa situazione avrebbe destinato tutte le risorse disponibili del Comune a risolvere questa emergenza, assieme a quella sociale della povertà, tagliando tutto il resto e soprattutto il cosiddetto “Effimero”.

Bisogna riconoscerlo che su questo in un anno finora si è speso maggiormente il “friulano” Riccardi, pur tra errori (non dotarsi ad esempio di personale adeguato ai Servizi sociali regionali, che oggi trattano le persone burocraticamente come dei numeri. Manca il tatuaggio ma ci siamo vicini) ed omissioni (quella di osteggiare, per partito (FI) preso chi a Trieste potrebbe meglio consigliarlo).

Resta il fatto che il silenzio del Comune su questo è allarmante. Con la salute non si scherza e sulla salute non si sparano balle un tanto al chilo solo per raccattare qualche voto in più.

Perché? Semplice, prima o dopo tocca a tutti.

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Fermiamoci un po'.

» Inviato da valmaura il 4 June, 2019 alle 1:59 pm

Parliamo di Trieste con l'appendice regionale.

Il livello della classe dirigente e delle istituzioni che governano (?) città e Regione ha toccato il punto più basso della sua recente storia. E diciamo subito che non ci interessa il colore politico ma la qualità, umana e professionale, dei protagonisti. Un declino iniziato e proseguito da almeno un quarto di secolo, con una improvvisa accelerazione negli ultimi dieci anni.

Invece ci interessa e preoccupa l'assoluto distacco ed isolamento delle persone normali, sempre di fretta a qualunque età, sempre con questi nuovi aggeggi tecnologici in mano e con le cuffiette nell'orecchio, sempre a muso duro. Un trionfo dell'egoismo e della solitudine vera.

Le istituzioni, a partire dal Consiglio comunale, sono ridotte a barzellette o poco più, della Regione praticamente nessuno si accorge se non per inutili quanto sterili polemiche e per il parossistico acquisto di telecamere ed armi per la polizia locale.

Come se la sicurezza individuale e collettiva non passasse proprio attraverso la soluzione delle sacche di emergenza sociale che oggi investono sempre più persone.

La cosiddetta “informazione” locale oggi è ridotta a gazzetta pubblicitaria del bagno Sticco o poco più. Per il resto uno scadente teatrino di politici ed “amici”.

A fronte dell'aggravarsi di emergenze quali la sempre più diffusa povertà, di un quadro devastante soprattutto per gli ospedali Burlo e Cattinara nella Sanità, di un degrado urbano ed umano dei nostri quartieri, della perdita di ruolo ed efficacia dei servizi sociali e sanitari territoriali, delle irrisolte questioni ambientali (Ferriera e Siot) per citarne le prime due, la società triestina sembra non curarsene fino a quando alle persone non capita di viverle sulla propria pelle, e talvolta non basta.

Eccesso di pessimismo, il nostro, o di realismo?





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