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Sordi e attoniti.
Scritto da: Maurizio Fogar

Quando esplose il fenomeno elettorale della Lista per Trieste, era la fine degli anni ’70 ed essa divenne in due elezioni municipali il primo partito a Trieste, superando in un colpo solo il 30% dei voti, e portando pure un deputato al Parlamento italiano ed uno a quello europeo, la politica tradizionale rimase come frastornata, colpita da un tremendo cazzotto, con l’unica eccezione dei radicali di Marco Pannella che mandarono in Consiglio comunale tre eletti, mancando il quarto per una decina di voti.

Per i partiti tradizionali fu un vero e proprio shock, da cui si ripresero a stento dopo una decina e passa di annetti. In un sistema elettorale vischioso ed immobile dove gli spostamenti di voti si misuravano in decimali, la DC perse la metà e passa dei consensi come il MSI, il PCI un terzo, PSI e PRI due terzi, PSDI e PLI scomparvero da Comune e Provincia.

Un terzo dei triestini aveva di colpo votato per la Lista del Melone e la prima e duratura reazione dei partiti, salvo i Radicali e alcune autorevoli quanto inascoltate eccezioni, il senatore Vittorio Vidali del PCI ad esempio, definirono il fenomeno Lista come un movimento parafascista, ultranazionalista, qualunquista, populista e demagogico, un po’ come oggi, fatte le debite proporzioni avviene a livello nazionale con i Grillini ed i “Forconi”, e a livello locale con Trieste Libera.

Chi scrive queste righe, da dirigente nazionale del PRI di allora, fu sottoposto ad un vero e proprio processo politico in Direzione durato un giorno intero, a causa delle sue dichiarazioni che sostanzialmente si potevano così riassumere: necessità di non demonizzare le decine e decine di migliaia di cittadini che avevano dato il voto alla Lista ma aprire uno serio confronto con loro e con le ragioni che sostenevano, poiché non era credibile che, per esempio, il PRI definisse elettori maturi e consapevoli i propri votanti fino al giorno prima e poi, persi in una botta sola i due terzi di questi, li epitetasse come populisti incivili e qualunquisti il giorno dopo. Ed all’inizio la Lista ed i suoi eletti, valgano per tutti i nomi di Aurelia Gruber Benco, tra l’altro cofondatrice del Circolo Miani nel 1981, Vicesindaco prima e deputato poi, era una spiccata personalità della cultura socialista, quella vera, come di tradizione mazziniana era il notaio ed assessore Arturo Gargano, mio Vice Presidente al Miani, erano quanto di più trasversale si potesse immaginare, fino a comprendere consiglieri “verdi”.

Ma durante quel “processo” in Direzione nazionale PRI mi accorsi che la quasi totalità dei miei interlocutori non riusciva nemmeno a comprendere una situazione, quella triestina, così diversa dalle tradizionali logiche, ma anche linguaggi, di partito allora in uso. Mi guardavano increduli e sgomenti, come parlassi in aramaico, dedicandomi alla fine grande simpatia umana un po’ per la mia età allora giovane ed un po’ perchè colpiti favorevolmente dal modo in cui sostenevo le mie ragioni, insomma credendoci profondamente. Insomma per loro, autorevoli “big” nazionali del PRI, alla fin fine ero un “amico che sbagliava” ma in buona fede.

Orbene oggi la situazione a livello nazionale, ma per quel che ci interessa qui, a livello locale si ripropone identica, salvo per lo spessore dei protagonisti: i vari Spadolini, Visentini, Scattolin ed Ungari erano di molte spanne superiori in tutto ai protagonisti della politica contemporanea.

Basti pensare a Trieste al vero e proprio ostracismo messo in atto dalla politica, tutta, anche quella più nuova e recente di marca 5 Stelle, nei confronti del Circolo Miani e del più importante, partecipato e duraturo movimento d’opinione da esso sostenuto dal 1998 ai giorni nostri.

In quindici e passa anni la politica, salvo anche qui rarissimi casi personali, lo ha snobbato ed ignorato, nel migliore dei casi, quando non attaccato e sabotato in tutti i modi anche con l’uso distorto ed improprio dei pochi organi d’informazione scritta e radiotelevisiva esistenti. Mai una richiesta di confronto, un tentativo di capire, solo la secca contrapposizione tra tutela della salute e diritto al lavoro, ignorando completamente che tra i promotori e gli attivisti c’erano da anni ex lavoratori e dirigenti, ad esempio, della Ferriera stessa, epitetati spesso e volentieri, con grande lungimiranza politica, come dei “traditori che sputavano nel piatto dove avevano mangiato”.

Non li sfiorava nemmeno, a questi partiti vecchi e nuovi, quale fosse il dramma che migliaia di persone vivevano e vivono quotidianamente, ma anche la preoccupazione per la mancanza di un lavoro dignitoso e sicuro. Né li soccorreva la dura esperienza maturata dai grandi movimenti sociali, politici e sindacali nel 1900 in tutto il mondo.

E così anche tre settimane fa, in Comune ad una riunione dei Capigruppo consiliari con una delegazione del Circolo Miani per individuare il percorso che porti ad evitare l’esecutività dello sfratto dalla sede Ater di via Valmaura, la sensazione che abbiamo ricavato è stata quella di parlare due linguaggi completamente diversi. Ci siamo resi conto dell’incapacità, e si badi bene non per malafede o preconcetto, di capire da parte dei presenti le ragioni profonde per cui in una città come Trieste andava tutelata una realtà come il Circolo Miani. Che da anni era ed è lo strumento più usato e partecipato dei nostri concittadini, e che svolge un ruolo sociale che nel suo campo non trova eguali.

Ecco una volta si diceva che fare il Liceo Classico ti dava alla fine un pezzo di carta utile solo per iscriversi all’università. Vero, ma è certo che allora, soprattutto per chi aveva la buona sorte di incappare negli insegnanti giusti, penso ai Mercanti, Verzegnassi, Beltrame, Pelaschier, Cumbat o Cossa, il classico ti dotava degli strumenti critici utili per la tua formazione e come esperienza umana atta a capire la società.

Ebbene ci siamo resi conto che a questa riunione i presenti non capivano perché proprio privi, e non solo per colpa loro, di questi strumenti.

Così accade oggi nella politica cittadina nei giudizi espressi per bollare quel vasto movimento organizzato da Trieste Libera.

E pertanto non starò qui ad esprimerne dei miei, che credo interessino marginalmente, mi limito però a rilevare due cose. Le ragioni del successo partecipativo di tante (per Trieste si intende) persone non vengono assolutamente analizzate dai soloni della politica che si sprecano in pubblici giudizi ampliati dagli house organ locali. Così come sfugge quella “sociologia delle masse” così utile a leggere la composizione, l’età, il ruolo sociale e la ragioni profonde dei partecipanti.

La seconda è che moltissime di queste persone che, o non hanno votato o hanno premiato alle elezioni politiche il movimento di Beppe Grillo, trovano oggi, quasi naturalmente vista l’assenza sostanziale e continuativa di iniziativa pubblica sul territorio dei 5 Stelle, nelle manifestazioni e cortei promossi da Trieste Libera quello strumento, quella occasione di gridare pubblicamente il loro disagio, quando non la loro disperazione. Che sono la vera molla, di fronte al fallimento totale ed alla perdita di credibilità di tutti partiti, più che la ragionata adesione alle tesi del trattato di Pace istitutivo del TLT, che li spinge in strada, in sede e ad organizzarsi per protestare e gettare in faccia all’opinione pubblica l’insostenibilità dell’attuale situazione.

Se oggi Karl Marx dovrebbe riscrivere il suo Capitale, e prendesse a modello la realtà italiana, non dividerebbe più la società nelle classi sociali tradizionali (proletariato e sotto, borghesia e capitalisti), ma la semplificherebbe in due grandi schieramenti: i garantiti ed i non garantiti, senza speranza di futuro e con un presente incerto. Ecco, per essere più chiari, i quasi tre milioni di italiani che hanno votato alle recenti primarie del PD, Marx li metterebbe tra i garantiti (siano essi pensionati, lavoratori dipendenti o liberi professionisti).

Accettasi suggerimenti o critiche.



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