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'L'Eco della Serva'
Fatti e misfatti della settimana

Laminatoio a caldo e “giornalismo” a freddo.
Le sorprese della censura talvolta sono anche divertenti. ..
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Trieste Verde. A cosa diciamo no!
Dicemmo no alla progettata Centrale a Carbone nel Vallone di Muggia, battaglia vinta..
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Ferriera, non solo, e Procura di Trieste
Scritto da: Marco Porcio Catone

Abbiamo cercato di ricostruire la cronistoria di un rapporto che dura da quattordici anni, e pertanto l’articolo ha una determinata lunghezza. Ma imparare, informarsi, costa tempo e magari un po’ di fatica (impegno intellettuale che non di spaccar pietre si tratta), in cambio si evitano di dire sciocchezze e parole a vanvera che oggi francamente appaiono non più sopportabili.

Tutto quanto riportato è tratto da documenti che sono in archivio al Circolo (soprattutto verbali ed atti giudiziari) e da articoli di stampa riportati da altri e mai smentiti.

 

In premessa alcuni cenni per inquadrare il problema che stiamo affrontando, attraverso una sintetica cronistoria, e per chi volesse approfondire niente di meglio che andare a rileggersi gli articoli di questo sito.

Il Gruppo Lucchini acquista la Ferriera di Servola nel 1995, lo stesso anno che Riva compera l’Ilva di Taranto, ma solo dopo che il Governo ha dato il via libera alla firma di un protocollo d’intesa con l’Enel per la costruzione di una Centrale di Cogenerazione, all’interno dello stabilimento triestino, dove l’energia elettrica prodotta da una miscela di gas di risulta degli impianti e gas metano veniva acquistata dallo Stato, Enel, ad un prezzo per KW fortemente maggiorato rispetto al valore di mercato, e scaricato ovviamente sulle bollette che i cittadini pagano. Dunque è chiaro fin dall’inizio che il core businnes della nuova proprietà è la produzione di energia elettrica, con un margine di guadagno altissimo garantito, più che la produzione “a caldo”, ovvero siderurgica esposta per altro alle tradizionali crisi del settore.

Altro aspetto non secondario che porta utili al Gruppo Lucchini poi è la presenza di una propria banchina, nell’ambito portuale, che otterrà negli anni, via via, il raddoppio del traffico e l’autorizzazione dello scarico conto terzi da parte dell’Autorità Portuale di Trieste. Insomma un piccolo porto autonomo nel porto di Trieste.

Il terzo aspetto è la continua emorragia dei posti di lavoro, nel 1995 oltre 1200 fino agli attuali 400. E i tagli ovviamente colpiscono per primi i settori della manutenzione, come a Taranto. Né d’altronde l’azienda ha interesse alcuno a fare investimenti nella parte classica della fabbrica (altoforni, cokeria e impianto di agglomerazione. L’acciaieria verrà chiusa, smontata e portata in Russia dai nuovi proprietari, la Severstal di Mordashov, nel 2004).

Le due leggi dello Stato italiano oggetto del protocollo con il Governo e l’Enel, nate a fin di bene e come spesso accade in Italia gestite a fin di male, poi denominate Cip6, concedono questi incredibili guadagni sull’energia elettrica per otto anni dall’entrata in funzione della Centrale (2001) e pertanto fino al 2009.

Quando il Gruppo Lucchini, a seguito dell’ennesima crisi del mercato siderurgico, è sull’orlo del fallimento, nel 2000 le banche creditrici attuano un primo salvataggio acquisendo il controllo della società bresciana ed affidandone la guida al salvatore della Parmalat, Enrico Bondi, con la mission di vendere tutto il vendibile per far recuperare alle banche i soldi prestati.

Tanto è vero che Bondi firma con il Governo di allora (Berlusconi) e con il Ministro Matteoli un protocollo dove la proprietà  annuncia la volontà di chiudere lo stabilimento della Ferriera di Servola nel 2009. Allo scadere appunto delle agevolazioni statali per la produzione dell’energia elettrica, unico punto in attivo dei bilanci Lucchini. E chiede alla Regione di avviare un progetto di riutilizzo dell’area e di ricollocazione dei lavoratori (qui entrano in scena i 21 tavoli apparecchiati dalla prima Giunta regionale Tondo e guidati dall’assessore Dressi e poi alla vittoria di Illy nelle regionali del 2003, il Tavolo istituzionale guidato dall’Assessore Cosolini fino al 2008). Area che per il 60% è di proprietà statale (il lato a mare), amministrata dall’Autorità Portuale, e per la rimanente parte di proprietà della Lucchini.

E’ naturalmente ovvio che avendo deciso di chiudere nel 2009 la proprietà non ha alcun interesse ad investire denaro su impianti destinati a morire di lì a poco tempo. E che dal 2004 producono solo ghisa e carbone coke.  Ed è anche chiaro che gli impianti, di cui il più nuovo (una batteria della cokeria) è stato costruito nel 1960 sono da tempo a fine corsa (chi li costruisce ne dichiara un utilizzo massimale di trenta anni e per Trieste siamo ben oltre il doppio) e dunque refrattari a qualunque moderna tecnologia utile a ridurre le emissioni inquinanti e le polveri. Parte cospicua poi  delle fughe di gas cancerogeni dalla Ferriera sono infatti frutto di “emissioni diffuse”, ovvero non convogliate attraverso i camini. E la proprietà ha solo un problema: quello di non pagare le ingenti spese per la bonifica del sito industriale, valutate dal Ministero dell’Ambiente in circa 60 milioni di euro. Le caratterizzazioni ministeriali dimostreranno, come riportato nei verbali delle Commissioni dei Servizi decisorie del Governo dal 2003 al 2010, che la Ferriera ha inquinato, oltre che l’aria, tutto il terreno del sito dove è ubicata, la falde acquifere presenti ed il mare del Vallone di Muggia.

Piccolo particolare. Negli anni la Ferriera ha interrato abusivamente il mare verso Muggia e lo Scalo Legnami per una estensione pari ad otto campi di calcio, scaricandovi in gran parte gli scarti tossici delle lavorazioni, modificando visibilmente la linea di costa, come si vede dalle immagini fotografiche da satellite, senza che … nessuno, salvo i residenti, tra quelli preposti a fare i controlli, se ne accorgesse!

Ma Bondi è talmente bravo che riesce a vendere il Gruppo Lucchini spa ai russi della Severstal, Servola spa compresa. E la nuova proprietà subentra negli accordi di dismissione della Ferriera entro il 2009. Senonchè i vari governi Berlusconi-Prodi, decidono, in barba alle procedure d’infrazione aperte dall’Unione Europea e che costano fior di milioni di penale ai cittadini italiani, di prorogare le agevolazioni per l’energia elettrica fino al 2015. Ed ecco che così la Severstal nel 2007 denuncia il protocollo firmato sei anni prima e sposta la data di chiusura della Ferriera appunto al 2015, per continuare ad incassare il cospicuo utile regalatogli dallo Stato. Che diventa sostanzialmente l’unico utile del Gruppo a Trieste, assieme appunto a quello garantito dalle attività logistiche-portuali conto terzi, a fronte del perdurare di una crisi del mercato siderurgico.

C’è poi l’incredibile vicenda del rilascio dell’Autorizzazione Integrata Ambientale da parte della Regione a giuda Illy-Cosolini avvenuta tra Natale e Capodanno del 2007, ma su questo ritorneremo in seguito.

Oggi dunque questo è il quadro: dopo l’ennesimo fallimento evitato ancora una volta dalle banche che vantano crediti per oltre un miliardo di euro, la russa Severstal è stata spodestata e la Lucchini spa è passata sotto controllo di un Consiglio di Amministrazione indicato dalle banche stesse. In procinto nuovamente di vendere per recuperare i quattrini, in un quadro per altro di crisi internazionale e di profonda crisi per la siderurgia europea. Con una Ferriera che praticamente lavora in perdita, Centrale esclusa, ma si sa, per le banche alcune centinaia di migliaia di euro di perdite dilazionate su dodici mesi sono meglio che sessanta milioni in rosso messi a bilancio per le bonifiche

Superfluo appare sottolineare che i finora 28 Tavoli istituzionali per la chiusura, riconversione del sito e ricollocazione dei lavoratori, in undici e passa anni non hanno prodotto nemmeno l’idea di un progetto alternativo.

Indicativo è poi notare che dal 2001 in poi la stampa locale ha ripreso a sottolineare come i danni ambientali riguardino solo il rione di Servola, anzi la parte di esso più vicina allo stabilimento, mentre è risaputo e riprovato anche dall’ARPA e dalla collega ARSA slovena che le emissioni inquinanti in uscita dalla Ferriera, ma anche ad esempio dall’Italcementi, investano TUTTO il territorio della nostra provincia e quello del Comune di Capodistria.

Ma questa è un’altra storia: riguarda appunto l’inquinamento dell’informazione sistematicamente attuato in quel di Trieste.

Interessante invece qui notare che nonostante le precise richieste avanzate già nel novembre 1999,   formalmente dal Circolo Miani e dai Comitati di Quartiere, su imput delle ricerche effettuate dai medici del Pronto Soccorso del prestigioso Ospedale pediatrico Burlo Garofalo e dai colleghi del Centro Tumori di Trieste, l’Azienda Sanitaria territoriale si è sempre rifiutata di dare corso all’indagine epidemiologica sulla salute della popolazione triestina e muggesana. Indagine richiesta inutilmente ogni anno e che invece il Sindaco di Capodistria ha fatto fare all’Azienda Sanitaria slovena cinque anni fa su tutti i bambini residenti in quel Comune in età tra gli zero ed i dodici anni. I risultati? Drammatici per i residenti nelle frazioni comunali che guardano verso il Golfo di Trieste: con una percentuale di bambini che oscilla tra il 27 ed il 36% già sofferenti di malattie croniche all’apparato respiratorio. Le cause? Le centraline dell’ARSA slovena hanno dimostrato che ogni qualvolta il vento soffia da Trieste verso Muggia, che sta sotto e davanti Capodistria, arrivano le emissioni inquinanti e le micropolveri prodotte appunto da Ferriera ed Italcementi. E’ lecito dunque domandarsi quale sia lo stato di salute dei bambini muggesani e triestini, oggetto pure della preoccupante indagine del Pronto Soccorso pediatrico?

Dunque alla luce di quanto sopra descritto si capisce facilmente che le varie proprietà (bresciane, russe e bancarie) succedutesi in questi diciassette anni abbiano attuato, e va purtroppo detto con successo, una tattica del perenne rinvio, del guadagnare tempo: settimane, mesi ed anni. Lo scopo chiarissimo e fin qui raggiunto, grazie ad una rete diffusa di incapacità, silenzi, ed anche complicità, è stato quello di tirare per le lunghe allo scopo di massificare il profitto (della vendita dell’energia elettrica prodotta) ed al fine di non pagare alcun intervento per ridurre significativamente e comunque entro i termini di legge le emissioni di gas e polveri nocive per la salute dei lavoratori in primis, e degli oltre settantamila abitanti i quartieri a ridosso della Ferriera.

Come ci sono riusciti sostanzialmente indisturbati è cosa che vedremo in queste pagine.

Passiamo ora a ricostruire il rapporto tra la vicenda, la tragedia Ferriera di Trieste, dunque e non di Servola, e il comportamento della magistratura, inquirente (Procura) e giudicante (Tribunale) triestina. Questa l’unica e sostanziale diversità tra la situazione di Taranto e quella della nostra città.

Il primo episodio investe l’Ufficio del Giudice di Pace al quale, nel 1998, si rivolgono 25 famiglie di Valmaura e Servola, patrocinate da un legale del Circolo Miani, per chiedere un risarcimento equitativo di due milioni di lire cadauna a ristoro dei danni provocati nelle case dalla costante fuoriuscita di polveri e ruggini dalla Ferriera. Le ragioni del ricorso al Giudice di Pace stanno nelle motivazioni della richiesta, che sono proprio alla base della legge costitutiva di questo ufficio giudiziario, e dal fatto che le cause presso il Giudice di Pace non hanno costo alcuno, il che, per i redditi decisamente bassi delle famiglie ricorrenti non è cosa da poco.

Ma la vicenda fin da subito si colora di strani connotati. A partire da una prima telefonata ricevuta dal legale delle famiglie che viene informato da un Giudice di Pace, che chiede di restare anonimo, che le 25 cause invece di essere ripartite tra i vari componenti l’Ufficio, che, è bene ricordarlo, lavorano a gettone, ovvero a sentenza (i giudici sono solitamente scelti tra funzionari della Pubblica Amministrazione in pensione o tra ex avvocati), e dunque per regolamento non possono vedersi affidare più di cinque cause contemporaneamente, sono state tutte trattenute dal Coordinatore dell’Ufficio, un cancelliere della Corte d’Appello in pensione.

Chi informa l’avvocato è dunque vieppiù credibile perché mosso da un concreto interesse materiale, l’aver perso la possibilità di ricevere un compenso per parte di queste cause. Ma l’accentramento in un unico Giudice di 25 pratiche processuali, in violazione del regolamento, aveva solo una possibile motivazione: la riunificazione per connessione (stessa tipologia di reato e stesso autore) in un unico procedimento. Ma come vedremo così non sarà, e saranno emesse 25 sentenze, per altrettanti gettoni di rimborso al giudice, assolutamente in fotocopia, salvo i dati anagrafici dei ricorrenti.

Durante il “processo” che si svolge nella stanza del giudice alla presenza dei legali delle parti (la Lucchini spa proprietaria della Ferriera e le 25 famiglie ricorrenti) dopo due brevi udienze il Giudice proclama la sentenza dichiarandosi, e scrivendolo per 25 volte, “incompetente” come Ufficio a giudicare. Insomma esattamente il contrario di quanto ordinato dalla legge istitutiva l’ufficio del Giudice di Pace. Ma non pago di aver sostanzialmente lavorato sotto dettatura del legale della Lucchini, accoglie in chiusura pure la richiesta dello stesso, che andava ben oltre al compito di difendere il suo cliente nel processo, di riconvertire le 25 cause in ordinarie, ovvero come si fossero celebrate davanti ad un Tribunale civile, con tutti i costi annessi da gravare sulle 25 famiglie. Insomma una fredda ritorsione per colpire, come esempi per il futuro, i magri bilanci dei ricorrenti.

Il nome del legale della Lucchini? L’avvocato Alessandro Giadrossi, allora dirigente oggi Presidente del WWF triestino.

Si apre poi, e come avverrà nei primi procedimenti avviati dalla Procura di Trieste ed in carico al Sostituto Procuratore Federico Frezza, per il reato di “imbrattamento” il primo processo  presso il Tribunale di Trieste. Processo iniziatosi per la denuncia di una abitante di via del Ponticello, nel rione di Servola.

A difendere, dalle irrisorie pene per altro previste dal Codice Penale, i vertici della proprietà e della direzione della Ferriera, la Lucchini assume niente di meno che uno dei “principi del foro” italiano: l’avvocato bresciano Frigo, allora Presidente delle Camere Penali (il “sindacato” degli avvocati italiani) ed oggi membro laico (indicato dal PDL) del Consiglio Superiore della Magistratura.

Il quale chiama sul banco dei testimoni una vera sfilza di VIP in difesa dei Lucchini e coimputati, dal Prefetto, al Sindaco Illy, al segretario della CGIL Zvech, ai Presidenti di Provincia, Codarin e Confindustria, Pacorini, a seguire.

Il processo, che trova vasta eco mediatica, vede come giudice monocratico, Vascotto, e come PM, il già menzionato Frezza, la signora, costituitasi parte civile viene rappresentata sempre da un legale fornito dal Circolo Miani.

Qui meritano di venir riportati alcuni stralci dei verbali processuali, ma prima anticipiamo la sentenza che sarà di condanna a tredici giorni di carcere commutati in una ammenda di un milione e trecentomila lire a carico degli imputati, insomma poco più di una multa per aver orinato per istrada, per il reato appunto di imbrattamento.

E’ con questo processo, a partire da un vergognoso paragone di uno che scriveva di cronaca nera e purtroppo non solo, e che definisce in un suo resoconto il pubblico, composto soprattutto di donne ed anziani, come gli “eredi” degli anni del terrorismo, gli epigoni insomma delle brigate rosse, che il quotidiano locale, passato alla Finegil-Repubblica-Espresso, ma in comproprietà con il senatore condannato in via definitiva, Giulio Camber,del PDL, inaugura la sua nuova linea editoriale. Dieci e passa anni di silenzi, censure, omissioni e distorsioni, quando non diffamazioni, a tutto favore della proprietà della Ferriera, della Condindustria e soprattutto della corte servile di partiti, partititi ed associazioni un tanto al chilo.

Tra i tanti testi a difesa della Lucchini vengono sentiti pure la dott.a Cornelio, allora responsabile del Dipartimento Igiene e Profilassi dell’Azienda Sanitaria triestina, guidata allora da Franco Rotelli, che accorpava alla medicina del lavoro ed alla salute pubblica anche tutte le attività di controllo e sorveglianza ambientale poi trasferite alla nascitura ARPA.

Nell’interrogatorio della testimone ad un certo punto le viene chiesto se come ASS avessero riscontrato un aumento delle patologie e delle malattie nei quartieri limitrofi alla Ferriera (da Muggia fino a San Vito-Campi Elisi ci vivono oltre settantamila persone, un terzo della popolazione della provincia). Alla domanda la Cornelio rispose un balbettante “si” ed allora le fu richiesto come quantificasse questo aumento: modesto o significativo? Di nuovo lei rispose “significativo”. Ma subito aggiunse per altro non richiesta “ma delle patologie più comuni”. Insomma, come commentò a voce alta Maurizio Fogar nell’aula affollata di pubblico, tutti erano contenti di sapere che a Trieste non ci fossero casi di colera, lebbra o peste nera ma solo di comunissime malattie all’apparato respiratorio o normalissimi tumori.

Per altro giova qui ricordare che la discussione si bloccò subito perché il Tribunale ricordò che si stava procedendo per imbrattamento e non inquinamento, con buona pace del Codice penale.

Poi fu la volta del teste Vittorio Zollia, nella sua veste di direttore dell’Assessorato regionale all’Ambiente, cioè dell’Ufficio che aveva firmato le autorizzazioni per le emissioni dei dodici camini della Ferriera. Giova qui ricordare subito che l’ingegner Zollia era allora uno dei più pagati dirigenti della Regione FVG, con un reddito pubblicato sul BUR di quasi 280 milioni di lire per l’anno precedente.

Bene, ossia male, per ascoltarlo ci vollero più di tre udienze poiché non si presentò mai in aula finchè il giudice spazientito non ne ordinò l’accompagnamento “coatto”. Ovvero una gazzella dei Carabinieri si recò sotto casa sua la mattina della quarta udienza, lo caricò in macchina e lo scaricò sulla porta dell’aula processuale. Una figura non male per la sua reputazione, e perché dunque subirla? Domanda rimasta senza risposta da parte della Procura.

Ecco perché: in aula la sua fu una testimonianza fatta tutta di “non ricordo”, tanto da dimenticarsi le sue dodici firme apposte in calce alle autorizzazioni per i camini. E dopo questa bella prova di dignità processuale e professionale il Zollia fu premiato negli anni a venire da Riccardo Illy, divenuto nel 2003 Presidente della Regione, con la sua nomina a Segretario Generale della Giunta Regionale, insomma il massimo garante, il notaio, della correttezza amministrativa della Regione, con stipendio lautamente corrispettivo e, oggi è stato confermato dalla Presidente della Provincia, l’illyana Bassa Poropat, Assessore provinciale all’Ambiente per il secondo mandato, nonché responsabile del Tavolo regionale per il controllo dell’inquinamento emesso dalla Ferriera. Come si usa dire: l’uomo giusto al posto giusto!

Ma non basta, nel secondo procedimento apertosi presso il Tribunale, a seguito di un esposto denuncia presentato dal Circolo Miani e da Servola Respira, corredato da una dettagliatissima perizia tecnica sugli impianti dello stabilimento, e sottoscritto da oltre 2350 cittadini, lo stesso Zollia, assieme al suo più stretto collaboratore, quell’ingegner Gubertini di cui parleremo in seguito, si troverà indagato dalla Procura per “omissione d’atti d’ufficio” e vedrà i suoi uffici della Direzione Regionale all’Ambiente perquisiti dalla polizia con conseguente sequestro di molti documenti. Era il marzo dell’anno 2000.

E sono gli anni, quelli dal 1998 al 2000 in cui sul Piccolo il Sindaco Illy assurge al ruolo di portavoce della Lucchini, annunciando in rapida sequenza e con un aumento delle cifre esponenziale, gli investimenti fatti dalla Lucchini: prima 400 miliardi, poi 500 per arrivare ai 600, sempre miliardi si intende. Ma la stampa non è da meno ed in un quinquennio omaggia di interviste la famiglia Lucchini, memorabile esempio di un giornalismo all’incontrario quella dell’allora capocronista Gon a Lucchini Junior, annunciando per ben tre volte la costruzione di un laminatoio da duecento nuovi posti di lavoro in Ferriera. Della serie “Chi l’ha visto?”

Tutti investimenti che quando nel processo di cui sopra, il perito della Lucchini, Bontempi, presentò in Tribunale un libro fotografico con i progetti dei lavori miliardari, sfogliandolo il Giudice commentò: “bello, ma le fatture di pagamento dei lavori dove sono?”. Una scena di una comicità irresistibile se non fosse per il luogo e per il tema del processo. Il consulente Lucchini si girò, spalle al giudice, a chiese a gesti, rivolto all’avvocato Frigo, “e ora?”. L’avvocato della Lucchini, sempre a gesti gli fece cenno ripetutamente di andare avanti a parlare, dei sogni.

Ma facciamo un passettino indietro. A fine anni Novanta si forma, con l’appoggio del Circolo Miani, il Comitato di Quartiere di Chiarbola-Ponziana, anche per contrastare la folle idea di realizzare il più grosso ipermercato di Trieste, le Torri d’Europa, nel pieno centro cittadino, in uno dei rioni più densamente popolati e già gravato da un traffico intensissimo, specialmente di mezzi pesanti, e da una cronica penuria di parcheggi per i residenti.

Gli abitanti segnalano da subito che durante gli sbancamenti dell’unica area verde rimasta (per far sorgere il nuovo centro commerciale solleveranno con le trivelle anche i condomini attorno entrandovi nelle cantine, tanto per gradire) nella montagna di terra creata apposta al centro del cantiere succedeva un fatto strano. E vediamo quale.

Sulla collinetta di terra da riporto operava un caterpillar che dall’alto caricava i grossi camion, tipo “pellicano”, che trasportavano poi la terra in una discarica normale sul Carso. Ora a ritmi regolari accadeva che alcuni “pellicani” invece di entrare vuoti nel cantiere ed uscirsene poi pieni di terra, entravano carichi di una fanghiglia nera che veniva subito scaricata sul cumulo di terra normale ed immediatamente impastata con essa dalla ruspa del caterpillar. Questi ultimi camion poi ovviamente se ne riuscivano vuoti.

Verificato un tanto con diversi sopraluoghi dalle finestre degli appartamenti circostanti, i residenti fotografarono il tutto, lo filmarono pure e poi pedinarono questi camion che facevano l’operazione inversa. E scoprirono, che sorpresa, che questi mezzi pesanti usciti dall’area tra via Svevo e via D’Alviano imboccavano subito la strada dell’adiacente Scalo Legnami ed entravano poi nello stabilimento della Ferriera. Da qui infatti proveniva quel fango scuro e nero, nulla altro che gli scarti di lavorazione dell’impianto siderurgico, dunque rifiuti “speciali” con tutto quello che ne consegue.

Venne immediatamente sporta denuncia alla Procura, allegandovi foto, filmati, targhe dei camion, orari e testimonianze. E dopo una breve indagine condotta dal nucleo della polizia giudiziaria delle Fiamme Gialle, che confermò quanto rilevato nella denuncia ed anzi disse che la ditta incaricata del trasporto aveva già in passato avuto grossi problemi con la giustizia (le fu sequestrato perfino tutto il parco camion), della denuncia e dell’indagine non si seppe mai più nulla. Presumibilmente archiviata dalla Procura.

Ora esattamente dieci anni dopo invece per iniziativa delle Procure di Perugia e Grosseto tutta l’area dello Scalo Legnami in gestione alla Ferriera verrà sequestrata perché trasformata in una discarica abusiva per oltre 360.000 tonnellate di rifiuti speciali e tossici, interrando pure, sempre abusivamente e sempre senza che nessun “controllore” istituzionale locale se ne accorgesse, il mare antistante nel Vallone di Muggia per un’area pari ad otto campi di calcio! Modificando in modo evidentissimo la linea di costa del Golfo di Trieste.

Allora, nell’ambito dell’inchiesta nazionale sullo smaltimento illecito di rifiuti tossici che vide coinvolto tra gli altri anche il Marcegaglia, padre dell’allora Presidente di Confindustria, furono arrestati pure i vertici della Ferriera di Trieste e della Lucchini. Operazione condotta dai NOE dei Carabinieri di Udine che confermarono appieno quanto denunciato dal Comitato di Chiarbola dieci, appunto, anni prima, scusandosi per il ritardo del loro intervento e complimentandosi con il Circolo Miani per l’indagine di allora, le cui carte però non erano mai state trasmesse al Nucleo Operativo Ecologico dell’Arma regionale.

Intervistato in merito dalla stampa nazionale e regionale, l’inchiesta era sulle prime pagine di tutti i quotidiani italiani, sul ruolo e sulle ripercussioni in città l’allora sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza, rispose testualmente che si rifiutava di fare l’infame, lo sciacallo nei confronti di un amico, il direttore della Ferriera, arrestato, e pertanto si negò ad ogni commento. E’ proprio vero: chi trova un amico trova un tesoro.

Giova solo al volo ricordare che la Giunta comunale di centrosinistra guidata dal Riccardo Illy, concesse alla Policentro, costruttrice  e proprietaria delle Torri d’Europa l’uso in esclusiva di metà di via Svevo e di via Doda, motivando la gentile delibera come destinata ad un’opera di “utilità sociale”, non male per un centro commerciale, chissà scuole e ospedali come vengono etichettati.

Ma d’altronde alla cerimonia inaugurale, sovrastata dalle urla e dai fischi del corteo di centinaia di residenti imbufaliti, il presidente della Camera di Commercio, Paoletti, definì l’Ipermercato “un volano per il commercio e l’economia triestina”. E lo stesso presidente della CCIA che dieci anni dopo, a conferma della inamovibilità di certe poltrone, dirà che la crisi inarrestabile del commercio e del terziario cittadino, diecimila posti di lavoro persi, è causata dall’apertura a Trieste di centri della grande distribuzione. Meglio di Otelma.

“In nome del Popolo Italiano” il giudice triestino Enzo Truncellito sentenziò che le polveri che escono dalla Ferriera sono colpa degli autisti dei camion che guidano troppo velocemente i loro mezzi nelle strade interne dello stabilimento. Può far sorridere amaro, molto amaro pensando a Le Mans o Indianapolis ma in realtà anche sentenze di questo tipo concorrono a, come si dice in gergo, fare giurisprudenza.

Dal 2000 in poi il Sostituto Procuratore Federico Frezza, sulla base dell’esposto presentato dal Circolo Miani e Servola Respira, e via via integrato da ulteriori denunce da parte delle due associazioni, avvia alcuni procedimenti che portano pure a due ordinanze di sequestro della cokeria della Ferriera, impianto assai vetusto la cui parte più recente fu costruita nel 1960. Sequestri, respinti sempre dal Tribunale del riesame dopo i ricorsi della Lucchini ma confermati dalla Cassazione, dopo ovvia dilatazione dei tempi, e con la custodia, qui a Trieste è una costante, sempre affidata al direttore dello stabilimento, senza interruzione alcuna della produzione. Insomma dimostro che inquini, ti sequestro l’impianto, ma lo do in custodia a chi sa di inquinare e senza restrizioni di sorta sulla produzione in modo che tu possa inquinare avanti.

Sulla Sertubi poi le cose partono male da subito, ovvero dalla sua apertura nell’ottobre 2000.

Che in realtà la fabbrica nascesse col piede sbagliato era noto a tutti gli esperti di settore, ma certo ottima fu, per i partecipanti al businnes, l’operazione che portò all’acquisto dallo Stato (Finmare) della vasta area portuale dell’ex Cantiere San Marco per 11 miliardi di lire pagabili in quattro rate annuali, e poi rivenduta poche ore dopo in uno studio notarile per oltre tre volte la cifra pagata allo Stato. La più grossa speculazione immobiliare mai realizzata in città ed il ricorso presentato dal Circolo Miani alla Corte dei Conti per chiedere come mai lo Stato avesse perso, o non ricavato, altri 22 miliardi da questa vendita a tutto vantaggio invece di privati, non ebbe mai risposta né seguito.

Ma non solo di questo si tratta. La Regione per consentire l’apertura di una nuova fabbrica, dotata pure di un altoforno tra le case del rione di Campi Elisi, impose dieci norme per il controllo delle emissioni inquinanti e l’installo di tre centraline di rilevamento, come pubblicato sul BUR regionale (ottobre 1999). Superfluo ricordare che sette di queste prescrizioni non sono mai state rispettate, né tanto meno fatte rispettare.

Nei processi che si aprono nel corso degli anni duemila si passa gradatamente dalla discussione sulle problematiche legate all’imbrattamento a quelle legate all’inquinamento, ma come vedremo le pene conclusive si riducono sempre ad ammende poco più che simboliche, richieste spontaneamente dai legali della Lucchini (si definisce accesso all’oblazione) e subito accettate dalla Pubblica Accusa, sempre il Sostituto Frezza.

Ma ci sono due episodi che meritano brevemente di essere qui ricordati per la loro alta simbologia.

Presunto innocente (Presumed Innocent) è un film del 1990 diretto da Alan J. Pakula, interpretato da Harrison Ford. È tratto da un romanzo di Scott Turow.

Ve lo ricordate? Quello in cui una delle prove regina dell’accusa, un bicchiere con le impronte di Harrison Ford, non si trova più e pertanto l’accusa deve rinunciare ad utilizzarla nel processo.

Ecco, pur senza il bravo attore americano, la stessa cosa è accaduta al Tribunale di Trieste. Processo alla Ferriera per lo sversamento di inquinanti nel mare del Vallone di Muggia.

La prova regina qui consiste non in un bicchiere ma in una provetta contenente il campione di acqua marina prelevato. Dalle cui analisi trovano piena conferma le tesi accusatorie.

Come suo diritto la difesa della Lucchini chiede sia prodotta in aula la provetta contenente l’acqua marina incriminata. Il giudice ovviamente, e non può essere diversamente, accoglie la richiesta ed invita l’ARPA a portare, fissando la data della prossima udienza, il campione in questione.

Il giorno stabilito per la ripresa del processo, si presenta sconsolato un funzionario dell’ARPA a dichiarare che per quante ricerche avessero fatto, la provetta con il campione d’acqua marina non l’hanno trovata. Nuovo rinvio e nuovo invito ultimativo del Giudice all’ARPA di trovare e produrre in aula la sospirata quanto inquinata acqua del Golfo di Trieste.

Alla nuova ed ultima udienza di questo processo si presenta il direttore ARPA per annunciare, affranto, che la boccetta si è rotta e non esiste più il campione analizzato. L’epilogo chiunque lo può immaginare. Prosciolto l’imputato.

Il secondo caso riguarda la nomina, sempre nei processi che si susseguono negli anni duemila, di un perito del Tribunale incaricato di fare una perizia sugli impianti. In aula viene chiamato a prestare giuramento di accettazione dell’incarico un ingegnere di Udine, funzionario dell’ARPA, al quale vengono descritti i quesiti a cui dovrà rispondere nella perizia. Dopo la sua accettazione il Tribunale fissa in 120 giorni la data per l’esecuzione peritale e fissa pure la data dell’udienza successiva.

Alla stessa, cioè trascorsi i giorni indicati per la redazione della perizia, il funzionario ARPA si presenta e chiede di essere sollevato dall’incarico, ovvero rinuncia allo stesso per manifesta, ammessa, incompetenza. Qualcuno in aula ha proposto a voce alta l’assunzione all’ARPA del proprio cuoco.

Ovviamente sei mesi e oltre guadagnati dall’imputato.

Giova qui ricordare che nel corso degli anni duemila non sono rare le notizie di stampa che parlano di sequestri di materiale ferroso radioattivo, di provenienza della fu Unione Sovietica, da parte soprattutto della Procura di Brescia. Si tratta di centinaia di migliaia di tonnellate per lo più di rottami ferrosi da usare per la fusione in Altoforni, per la produzione di Ghisa o Acciaio. Ma la cosa significativa di questi report giudiziari è che i sequestri avvengono in Lombardia ma che gli ingressi in Italia sono indicati dai Carabinieri come avvenuti principalmente a Trieste e Gorizia, con transito poi per la Regione Friuli Venezia Giulia. I commenti sui controlli li lasciamo a chi legge.

Merita qui ricordare che nell’arringa del secondo processo alla proprietà della Ferriera il PM ricordò che le indagini del suo ufficio avevano riscontrato una collaborazione pari a zero da parte degli uffici della direzione regionale all’ambiente, dell’ARPA e della stessa ASS, e che per acquisire la documentazione richiesta si era dovuto ricorrere a perquisizioni degli uffici e ad ordinanze di sequestro, notizie per altro riportate anche dalla stampa locale. Così come per oltre sei mesi le centraline di monitoraggio delle emissioni inquinanti erano rimaste fuori uso.

Nel corso poi degli anni 2000, e nei vari processi che in continuo si aprivano e chiudevano con una oblazione da parte della proprietà imputata, pur in presenza di un reiterarsi del reato, la difesa della Lucchini passò dall’avvocato Frigo al triestino Borgna, di area PD, mentre il Sostituto Frezza affidò una consulenza al Cigra dell’Università di Trieste, che installò per alcuni mesi una propria centralina di rilevamento, accanto all’unica, presente in via San Lorenzo a Servola, testata e validata dai tecnici del Ministero dell’Ambiente e da sempre ferocemente contestata dalla Lucchini.

I dati del consulente della Procura sulle emissioni di particolato, polveri sottili (PM10), ed in particolare dell’idrocarburo BenzoApirene, risultarono drammaticamente molto oltre i limiti di legge ed in totale sintonia con quelli rilevati dalla centralina pubblica. E spesso in contrasto con quelli trasmessi dalle altre due centraline, una di proprietà dell’ARPA (via del Carpineto) e l’altra della Lucchini (giardino scuola via Svevo). Oltretutto si evinceva la costante anomalia che nei giorni in cui le emissioni raggiungevano il picco, spesso le altre due centraline risultavano fuori servizio o comunque non trasmettevano i dati (per legge pubblici).

Questa discrepanza nei dati sarà una costante: clamoroso il caso sulle diossine emesse dall’impianto di agglomerazione della Ferriera, pochi giorni prima sul giornale locale l’ennesimo comunicato a firma dell’ASS, come altre volte dell’ARPA, che tranquillizzava sulla qualità dell’aria, e poi improvvisamente viene sequestrato l’impianto di agglomerazione per l’emissione di diossine in quantità superiore ai limiti di legge. Già ma quali sono questi limiti?

Per accennare ad un altro sequestro per analoghe ragioni che avverrà qualche anno dopo, quello del nuovo inceneritore comunale di proprietà della privatizzata Acegas, lì il limite fissato dalla legge è di 1 nanogrammo per normal metro cubo. Ed il sequestro, che bloccò l’inceneritore con un cospicuo danno economico del Comune, durò circa sei mesi perché si era raggiunto l’ 1,04 di livello delle diossine emesse dal camino. Mentre, incredibile a scriversi, una legge regionale aveva fissato il limite di legge per le diossine emesse dal camino dell’agglomerato della Lucchini a 4 nanogrammi per normal metro cubo. Avete capito bene due impianti industriali a un chilometro di distanza hanno per legge l’uno quattro volte il limite tollerato dell’altro. E con l’aggiunta che il camino dell’impianto di agglomerazione della Ferriera erutta 230.000 metri cubi all’ora, un multiplo impressionante rispetto alla quantità prodotta dall’inceneritore e con un limite di diossine tollerato appunto quattro volte superiore.

Va qui segnalato che nel 2007 su iniziativa del Circolo Miani, che lo aveva avuto ospite in passato sui dibattiti legati a “Mani Pulite” e grazie alla personale amicizia di Maurizio Fogar, l’avvocato Giuliano Spazzali accettò di patrocinare gratuitamente 250 cittadini, le cui firme di procura vennero raccolte dal Circolo, in una causa contro la proprietà della Lucchini, e contro gli enti pubblici preposti ai controlli, a partire dal Sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza, e poi i vertici dell’ASS, oltre a seguire l’iter per il rilascio dell’AIA in corso in Regione. L’avvocato milanese Spazzali, uno dei più noti legali italiani e già presidente dei penalisti del nostro Paese, dopo un primo atto, l’invio di una raccomandata di diffida ai soggetti interessati, fu costretto a rinunciare all’incarico da una sconsiderata azione promossa da uno sparuto gruppetto di persone, alcune suoi “clienti” non paganti, che prima elogiarono pubblicamente il Sindaco, a cui Spazzali aveva appena preannunciato una denuncia, smentendo così l’operato del loro stesso legale e poi usarono l’elenco dei cittadini che si erano affidati all’avvocato, convocandoli in assemblea, per dare vita ad un comitatino rionale, tra le rimostranze di molti dei sottoscrittori la procura per l’uso che era stato fatto dei loro dati sensibili.

Questo portò, con grande amarezza reciproca, l’avvocato Spazzali a comunicare, in uno scambio epistolare, la sua costrizione a rinunciare all’incarico per cui già tre volte era venuto a Trieste. Lo stesso fece pure l’avvocato Nereo Battello, già presidente della Commissione Giustizia alla Camera dei deputati, che in precedenza aveva accettato l’invito del Circolo Miani ad affiancarsi all’azione dell’avvocato Spazzali. Giova qui solo chiosare che i promotori di questa sciagurata iniziativa, che aveva l’evidente scopo di “salvare” il Sindaco di Centrodestra dall’azione legale, così facendo affossarono la più seria azione che a tutela delle legge e dei diritti dei cittadini era stata avviata in questi anni. Con gran riconoscenza del Centrodestra ed in particolare dei politici Maurizio Bucci e Renzo Tondo, che accompagnarono la nascita di questo gruppetto.

Nel corso dei processi che si susseguono negli anni, la procura si avvale di una perizia tecnica sugli impianti della Ferriera firmata dal prof. Boscolo dell’Università di Trieste, subito contestata dai tecnici che avevano diretto gli impianti negli anni delle proprietà Italsider e Pittini, perché atto puramente teorico che non teneva in nessun conto il dato reale della vetustà degli impianti e del loro sfruttamento produttivo. E che gli accadimenti degli anni successivi non faranno che confermare, poiché la perizia Boscolo, che da quel momento diverrà l’alibi della proprietà, non sarà in grado di fermare affatto l’inquinamento prodotto dalla Ferriera.

Tanto importante sarà per la Lucchini questo accordo firmato con la Procura che la domanda presentata dall’azienda per l’ottenimento, nel 2007, dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), si baserà sostanzialmente sulla perizia stessa. Che come scrive il PM Frezza nella sua ordinanza del 26 giugno 2007 “la maggior parte dei rimedi di cui alla relazione Boscolo sono stati pensati e proposti dalla proprietà e dai dirigenti della Ferriera”.

Va altresì ricordato che in questi processi si persegue sostanzialmente il reato di imbrattamento!

Questa ordinanza, nella sua relazione, rappresenta il punto di svolta delle iniziative fin qui promosse dalla Procura, ed in particolare dal Sostituto Frezza. Vi compaiono per la prima volta le frasi che nel 2009 lo stesso PM userà per motivare il consenso della pubblica accusa all’accesso all’ennesima oblazione in un altro processo contro i vertici della Ferriera. Sono frasi significativamente indicative e gravi: “L’ordinamento… consente lo svolgimento delle attività pericolose, persino mortali, se e in quanto le reputa indispensabili alla vita della complessa società odierna”.

Nel dare atto alla proprietà di aver “realizzato in toto”, “la migliore tecnologia disponibile al limite del costo ragionevole” ,  “la Ferriera può legittimamente e lecitamente emettere una certa quantità di polveri e fumi”.

Questo viene scritto nella memoria del PM nel processo in fase terminale contro i 240 sforamenti di materiali inquinanti, soprattutto polveri sottili cancerogene, prodotti dalla Ferriera in poco più di un anno. Contro un limite massimo di 35, consentiti per legge.

L’affermazione che un ordinamento che non sia seguace della teoria dell’eugenetica nazista possa consentire l’esistenza di attività pericolose, persino mortali, per il sostanziale benessere della società, che qui però viene concretamente rappresentata dagli affari e dai guadagni di una spa Russobresciana, Severstal-Lucchini, è qualcosa che sinceramente dopo il Processo di Norimberga nessuno si sarebbe aspettato di veder legittimato. Con questa teoria si potrebbero chiudere pure tutti i procedimenti sugli infortuni sul lavoro. Perché tanto il fine giustifica i mezzi e gli operai morti. Deprecabile e tragica fatalità, ma giustificata in nome del bene supremo.

La seconda affermazione che la Ferriera ha realizzato totalmente le migliorie richieste significa solo due cose. O queste non sono state realizzate, visto la mole d’inquinamento in perenne uscita dallo stabilimento, AIA o non AIA regionale, e questo pone forte una domanda finora sempre elusa anche nelle indagini della magistratura, sulla responsabilità penale e civile di chi doveva fare i controlli. Oppure queste non erano affatto le migliorie sufficienti e chi le ha indicate non aveva evidentemente la compiuta competenza per farlo.

In particolare colpisce la frase “al limite del costo ragionevole”, e sorge spontanea la domanda. “Ragionevole” per chi, e chi stabilisce quando una spesa è “ragionevole”? La risposta è intrinsecamente ovvia. “Ragionevole” per il businnes della proprietà della Ferriera.

L’ultima considerazione che la Ferriera possa emettere “legittimamente e lecitamente” una “certa quantità” di inquinanti, può al limite andare bene, se questa “certa quantità” rimane nei termini tassativi fissati dalle leggi europee ed italiane, che a partire dal prossimo anno oltretutto si dimezzeranno in senso restrittivo. E sinceramente non pare che 240 sia inferiore a 35.

Ma soprattutto non si tiene in alcun conto di una sentenza fondamentale della Corte Costituzionale, che chiamata a giudicare in un caso analogo, con sentenza del 16 marzo 1990, a rispetto degli articoli 32 (tutela della salute dei cittadini) e 41 (subordinazione della libertà d’impresa all’utilità sociale) della Costituzione, sentenzia che qualora un’impresa non abbia, o non voglia trovare, i quattrini necessari da investire per far rispettare i limiti di legge delle emissioni prodotte dal proprio stabilimento (la sopradescritta “ragionevolezza del costo”), questa deve cessare la propria attività produttiva.

A firmarla sono il fior fiore dei giudici costituzionalisti italiani: Francesco Saja (Presidente), Giovanni Conso, Ettore Gallo (Relatore), Aldo Corasaniti, Giuseppe Borsellino, Francesco Greco, Renato Dell’Andro, Gabriele Pescatore, Ugo Spagnoli, Francesco Paolo Casavola, Antonio Baldassarre, Vincenzo Caianiello, Mauro Ferri, Enzo Cheli.

Merita ancora qui riportare un altro pezzo di questa relazione ordinativa del Sostituto Federico Frezza, laddove esso rimarca, citando i monitoraggi del proprio consulente Cigra, un passo di una lettera formale inviata dall’Azienda Sanitaria al Sindaco di Trieste ove “ …i valori riscontrati (BenzoApirene e PM10) nella relazione Cigra sono sicuramente preoccupanti, per cui si rende necessario effettuare un adeguato approfondimento della campagna di rilevazione.”

Ed a commento, sempre Frezza, aggiunge: “L’ultimo inciso suona alquanto singolare, qualora si tenga a mente che la misurazione del BenzoApirene a Servola è avvenuta su esclusiva iniziativa ed esclusive spese della Procura, mentre nessuno degli enti istituzionalmente preposti in via amministrativa al controllo della qualità dell’aria ha fatto alcunché del genere; dunque, è corretto che l’ASS reputi necessario un approfondimento della campagna di rilevazione, ma ci si chiede: se tale campagna è così utile, se essa consente di fare emergere dati “preoccupanti”, perché nessuno –Comune, Regione, Provincia, ARPA, ASS- l’ha posta in essere?”

Una domanda nodale rimasta senza risposta.

Ma che pone altresì un altro interrogativo. Se in tutti questi anni la Procura ha verificato che non esisteva collaborazione alcuna da parte di questi enti nelle indagini su alcuni reati, anche l’imbrattamento lo è, se, come ripetutamente lamentatosi nelle requisitorie in aula processuale l’acquisizione di dati e documenti è avvenuta quasi solo attraverso perquisizioni e sequestri presso questi enti pubblici, e se, come dichiarato a terzi, la Direzione regionale all’Ambiente, nella figura per altro dell’ing. Gubertini, già indagato dallo stesso Sostituto Procuratore, non rispondeva alle diverse lettere inviate dalla Procura, perché la stessa non ha avviato un procedimento ed una indagine legale su questo comportamento, che lei stessa ha ripetutamente e pubblicamente denunciato?

Perché l’attuale Procuratore Capo, con cui appena insediatosi Maurizio Fogar per il Circolo Miani e Romano Pezzetta per Servola Respira ebbero un lungo incontro nel suo ufficio per informarlo della situazione, ritenne oltre tredici mesi fa di rilasciare una intervista a tutta pagina sul quotidiano locale in cui annunciava l’avvio di una indagine sui “mancati controlli dei controllori” ed oggi, a più di un anno di distanza nulla si è saputo salvo, il ripresentare, da parte dello stesso Procuratore, degli stessi argomenti in un’altra sua intervista estiva?

Ma passiamo ora alla vicenda del rilascio, da parte della Regione, dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), senza la quale né la Ferriera (400 dipendenti), né la Sertubi (208 lavoratori) potrebbero rimanere aperte.

Essa viene annunciata quasi un anno prima ad una riunione dell’inutile Tavolo regionale per la riconversione della Ferriera, dal suo presidente, l’Assessore regionale della Giunta di Centrosinistra che sostiene il Presidente Riccardo Illy, Roberto Cosolini, oggi Sindaco di Trieste. Con fatto per lo meno inusuale anticipa e da per scontata una decisione che dovrebbe essere assunta in piena autonomia dalla commissione tecnica della Regione che sta compiendo l’istruttoria.

L’AIA che risponde ad una legge italiana, recepita da una Direttiva UE, dunque valida in tutta la Comunità Europea e non modificabile unilateralmente, segue delle precise norme e tempi attuativi.

La Regione la approva con una delibera di Giunta tra Natale e Capodanno del 2007, dunque ben oltre il limite temporale fissato dalla legge istitutiva, inderogabilmente entro l’ottobre precedente.

Nelle informazioni fornite dalle proprietà di Ferriera e Sertubi alla Regione, l’ente che per legge deve verificarne le veridicità, a precise domande richieste dal regolamento AIA si omette di rispondere oppure si scrive il non vero. Una per tutti: la legge chiede di segnalare gli “obiettivi sensibili” (ovvero scuole, asili, ospedali, ambulatori, case di riposo, ricreatori, strutture sportive, ecc, presenti nel raggio di mille metri in linea d’aria dal perimetro degli stabilimenti). Questo per l’ovvia e comprensibile ragione di graduare i limiti previsti per eventuali emissioni inquinanti, anche acustiche. O la presenza di infrastrutture di grande viabilità, come ad esempio, uno a caso, una superstrada. Orbene nelle due richieste di AIA viene scritto che nell’area, che comprende uno stadio di calcio, due palasport, la piscina olimpica, un ospedale pediatrico e una ottantina tra asili, nidi d’infanzia, scuole, ambulatori, case di riposo e ricreatori, la presenza è ZERO. Si avete letto bene. E sulla presenza di infrastrutture viarie si supera il fantastico. Nella domanda Sertubi si allegano le foto, anche aeree, della fabbrica che appare tagliata in due dalla sovrastante superstrada e si risponde sempre ZERO.

Ovviamente alla Regione toccava per legge il compito di verificarne la veridicità. In particolare all’ingegnere Gubertini. Come scrive il Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 aprile 2006, nell’articolo 30 (istruttoria tecnica). Comma 1: accertare la completezza della documentazione presentata. Comma 2: verificare la rispondenza della descrizione dei luoghi e delle loro caratteristiche ambientali a quelle documentate dal proponente.

Altra anomalia: nel momento in cui Circolo Miani e Servola Respira, chiedono attraverso la legge che regola la trasparenza della Pubblica Amministrazione (i quattro decreti Bassanini) e quella che disciplina l’accesso diretto agli Atti, la documentazione presentata assieme alla domanda AIA dalla proprietà della Ferriera, viene risposto che solo una parte della stessa, metà circa, è accessibile perché l’altra parte è vincolata dall’apposizione del “segreto industriale” da parte della Lucchini spa. Ed è consultabile solo dal funzionario regionale delegato: l’ingegnere Gubertini.

Ogni commento sulla credibilità e l’accettazione del “segreto industriale” su di uno stabilimento che produce allora solo ghisa e carbone cok, visitato più volte dalla polizia e dai vigili del fuoco, la lasciamo ai lettori.

Nell’AIA rilasciata dalla Regione poi, contrariamente a quanto stabilito dalla legge istitutiva, ove l’Autorizzazione deve riferirsi ad una fotografia dell’esistente, come per altro anche il buon senso impone, essa viene invece qui concessa “sotto prescrizioni” che dovrebbero, entro un certo lasso di tempo, a partire da un anno in poi, arrivare, ma sempre di ipotesi teorica poi ampiamente smentita dai fatti, si tratta, a soddisfare quei limiti di legge che allo stato attuale ne escluderebbero la concessione.

Giova qui, solo per rendere l’idea dell’assurdo di un’AIA siffatta, ricordare che entro i primi dodici mesi era previsto il rifacimento dell’Altoforno indicato nella domanda dalla proprietà. Poiché a fine anno i lavori sullo stesso non erano nemmeno iniziati, la Ferriera sostituì lo stesso con l’altro Altoforno, chiuso in precedenza perché cadeva a pezzi, e nemmeno inserito nella domanda concessoria dell’AIA. Insomma, come da Aiazzone, l’uno per l’altro, e solo un ennesimo esposto alla magistratura da parte di Circolo Miani e Servola Respira costrinse la Regione (Giunta Tondo) ad intervenire. Ma come accadde nei confronti dell’esposto depositato contro i vertici dell’Autorità Portuale che si accingevano a rinnovare l’annuale concessione demaniale alla Lucchini, che non pagava i canoni d’affitto da oltre cinque anni e nonostante l’interramento abusivo, firmato dal portavoce di Servola Respira per la mancata risposta nei termini di legge all’opposizione presentata, la vicenda si perse nei corridoi della Procura.

Ovviamente la revisione dell’AIA, chiesta dal Comune di Trieste, sotto l’incalzare delle manifestazioni e cortei promossi sempre dal Circolo Miani, costrinse la Regione, come prevede la legge, a riaprire ufficialmente il procedimento di revisione della stessa concessione il 28 giugno 2008. E come scrive sempre la legge, entro sessanta giorni si deve chiudere la fase istruttoria e documentale, con la raccolta delle osservazioni degli enti pubblici e dei soggetti privati (portatori d’interesse li definisce la legge), tra queste spiccò una memoria tecnicamente dettagliata sui gravi ed oramai insanabili difetti degli impianti produttivi presentata da Circolo Miani e Servola Respira, che chiedeva semplicemente il ritiro dell’AIA.

Dunque il 28 agosto 2008 si chiuse, come legge impone la fase istruttoria. Poi, … poi più nulla e nonostante la stessa legge imponga tempi cogenti, dalla chiusura del procedimento istruttorio, per la convocazione della Conferenza dei Servizi regionale, a questa data essa non è mai stata convocata.

E nemmeno una interrogazione presentata allora in Consiglio, al Sindaco Dipiazza dai consiglieri Ferrara e Portale, scritta su suggerimento del Circolo Miani, in cui si chiedeva al Sindaco di sollecitare il Presidente Tondo a rispettare la legge ed a fissare prontamente la data di convocazione della Conferenza Regionale per la revisione dell’AIA di cui il Comune di Trieste, oltre ad esserne uno dei cinque membri permanenti, ne era stato il promotore, ottenne miglior risultato. Il sindaco, che deteneva a quei tempi anche la delega all’Ambiente, rispose semplicemente che non intendeva sollecitare la Regione: a rispettare la legge!

E in quanto ad inadempienze di legge, ampiamente documentate e denunciate dal Circolo Miani in questi anni, alcune sono di grossolana e lampante evidenza, come quella or ora descritta.

Dal mancato rispetto della legge del 1999 che imponeva alle Regioni, tutte: ordinarie ed a Statuto speciale, di dotarsi di un piano regionale sulla qualità dell’aria entro l’anno 2003. Mai approvato.

Dalla stesura entro l’anno 2005 dei piani d’azione comunali (PAC) e regionali (PAR) contro l’inquinamento. Il Comune di Trieste ha redatto solo quelli contro l’inquinamento da “mobilità” (traffico) e da riscaldamento. Quello segnalato come prioritario nella legge statuale ed europea, cioè quello contro l’inquinamento da fonte industriale, non è stato mai attuato, nonostante le pubbliche richieste e manifestazioni promosse dal Circolo Miani, ed anzi l’attuale Assessore all’Ambiente della Giunta comunale (Centrosinistra con sindaco Cosolini) lo ha da sempre contrastato.

Tutte cose riferite e comunicate anche alla Procura della Repubblica in tempo reale, e riportate con estrema fatica, anche dalla RAI regionale, mentre la stampa locale in questi anni ha steso un velo di impenetrabile censura e silenzio.

Potremmo così continuare nel ricordare come gli interventi più significativi diretti od indiretti operati dalla magistratura sulla Ferriera di Trieste portano le firme delle procure di Brescia e di Perugia e Grosseto, oltre che dei NOE dei carabinieri di Udine. Come prendere amaramente atto che la fondatezza di molte denunce presentate non ha portato ad intervento di legge alcuno, facendo nel contempo decadere ai minimi la fiducia dei cittadini nell’istituzione giustizia.

Anche l’ultimo processo contro i vertici della Ferriera infatti si è concluso con l’accesso all’oblazione da parte degli imputati con il consenso, motivato come sopra ricordato, del PM.

Vanno altresì qui citati: la dura risposta ufficiale della Commissione Europea, decisione formale assunta il 28 settembre 2009, a fronte di una richiesta di deroga ai tempi di entrata in vigore dei nuovi e più restrittivi limiti di legge per le emissioni inquinanti, presentata dal Governo Italiano (Sottosegretario all’Ambiente l’onorevole Roberto Menia), e dalla Giunta regionale Tondo, per 68 siti del nostro Paese, ove due inerivano proprio la provincia di Trieste.

Nella decisione della Commissione UE che respinge 63 delle 68 richieste di deroga italiane, per quelle riferite a Trieste rileva nell’articolo 10 che “nel Friuli Venezia Giulia non è stato ancora adottato un piano regionale per la qualità dell’aria.” Nell’articolo 13 “non sono state fornite tutte le informazioni necessarie a dimostrare il rispetto delle condizioni.”. Nell’articolo 16 “le autorità italiane hanno fornito una ripartizione per fonte basata su emissioni medie in zone che sono nettamente più vaste delle singole zone considerate … essa non serva a descrivere le situazioni locali di superamento dei limiti … che presentano un ingente superamento dei limiti”. Articolo 20 “si constati la mancanza di informazioni sulle fonti di inquinamento a livello locale”. Articolo 34 “la mancanza di dati sulla riduzioni di emissioni o sugli effetti delle misure rende ancora più difficile determinare l’entità delle misure di abbattimento necessarie”. Ed infine la motivazione finale: “La Commissione ritiene opportuno sollevare obiezioni contro la deroga (respinge) all’obbligo di applicare i valori limite giornalieri/annuali indicati in allegato, poiché non è stato chiaramente dimostrato che sarà possibile conformarsi ai valori limite entro il 2011.”

E l’ultimo esposto-denuncia (il dodicesimo), presentato dal Circolo Miani in data 17 gennaio 2011 alla Procura di Trieste, nei confronti dell’allora Sindaco di Trieste e Presidente della Regione per il mancato rispetto di quanto previsto dalle leggi statuali, regionali ed europee, che disciplinano le funzioni anche di Ufficiale Sanitario comunale per il Sindaco, per i mancati interventi a seguito degli sforamenti continuativi (anche per cinque giorni consecutivi) delle tre centraline per legge campione sulla qualità dell’aria a Trieste.

Ecco dunque la sostanziale diversità tra il comportamento che la Procura di Trieste, che per altro ha riaffidato allo stesso Cigra un successivo monitoraggio per alcuni mesi del 2010, questa volta con il posizionamento di due centraline, oltre a quella testata dal Ministero dell’Ambiente, nella zona di Servola, e quello dei loro colleghi di Taranto, ma anche della vicina Udine.

A Taranto è stata ad esempio la magistratura ad ordinare all’ASS locale quell’indagine epidemiologica che ha drammaticamente dimostrato la correlazioni tra le emissioni inquinanti dell’ILVA e l’ammalarsi e morire di molte persone, bambini inclusi.

A Udine sono stati i colleghi di quella Procura a sequestrare e chiudere anni fa la Caffaro (ex SNIA) di Torviscosa, tuttora ferma, e quando nel dibattito con il Procuratore Aggiunto del Tribunale di Udine, Giancarlo Bonocore, al Circolo Miani nell’ottobre 2008, uno dei tantissimi cittadini presenti chiese, a confronto con la situazione Ferriera, come mai con la stessa legge e nelle medesime situazioni la magistratura udinese avesse sequestrato e fatto chiudere l’inquinante fabbrica chimica di Torviscosa. Sequestro che ha resistito a tutti i ricorsi legali della proprietà anche lei bresciana. Il Procuratore di Udine rispose, non senza imbarazzo alcuno, di domandarlo ai suoi colleghi triestini. Ovvero ribadì che se “la legge è uguale per tutti”, o almeno così dovrebbe, certamente uguali non lo sono i magistrati.

Questi interrogativi sul comportamento della magistratura inquirente e giudicante triestina, possono essere rivolti, ed in forma purtroppo esplicitamente più grave, all’atteggiamento tenuto in questi quattordici anni da ARPA, ASS, Comune, Provincia e soprattutto Regione, per non parlare del ruolo negativo svolto da quasi tutti i partiti politici e sindacati, oltre che dell’inesistenza di una classe dirigente ed imprenditoriale e da una libera e civile informazione.

Due indifferibili citazioni. Quanto dichiarato dal Procuratore Capo di Torino Raffaele Guariniello in una recente intervista. “E’ assolutamente necessario che gli organi di vigilanza facciano il loro dovere …. Che non preannuncino, come regolarmente accade, i controlli. Ma parlo anche della magistratura. Ci sono alcune zone in Italia dove i processi non si fanno o, quando si fanno, finisce tutto in prescrizione causa lentezza.

E “Quanto al tema ambientale, nella relazione introduttiva, la dirigente della Regione Maria Pia Turinetti ha parlato di esistenza nella popolazione circostante di «broncopatie e tumori dell’apparato respiratorio in misura superiore rispetto alle medie regionale e nazionale».”

P.S: Nel recente processo contro gli undici cittadini, tra cui il Presidente del Circolo Miani, per l’occupazione della sala del Consiglio Comunale del Municipio di Trieste nel 2010 sempre per denunciare le inadempienze di Comune e Regione sulla tragedia Ferriera, e conclusosi con la piena assoluzione “perché il fatto non costituisce reato”, l’accusa, titolare il PM Federico Frezza, ha chiesto in una botta sola una pena detentiva più alta per gli undici incensurati che nei dodici anni di processo ai vertici, pregiudicati, della Ferriera. Giusto per riflettere.

 

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