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Cittadini e non gente. Scritto da: Teodor C’è una differenza abissale tra l’essere cittadini, ovvero protagonisti delle scelte di vita, di governo della comunità, da quella più piccola di rione a quella statuale, di rivendicare il proprio diritto alla partecipazione delle decisioni che regoleranno la nostra vita, a quella parola indistinta che è gente. Una tale differenza da ricordare quella che intercorreva, e non solo per ragioni di censo, tra la plebe dei postriboli ed il “cives” romano. Insomma tra l’uomo libero ed il servo molto spesso volontario che si accontenta di quel “pane et circenses” che passa il convento dei potenti. I sentimenti oggi diffusamente presenti nella gente sono riconducibili a due grandi filoni. La rassegnazione come comodo alibi per giustificare la propria pigrizia egoistica che tanto “non serve a nulla, contro il potere non si può nulla”. E la totale mancanza di ideali e di un minimo di formazione culturale atta a dotare l’individuo del senso della critica e della scelta. Non a caso la gente delega, lascia volentieri agli altri di occuparsi della soluzione dei suoi problemi, al massimo si accoda con una firma e con un voto salvifico. Discorso a parte merita poi l’assoluto abisso di nullità, di vuoto totale, di mancanza di interessi, che caratterizzano in particolare le nuove generazioni. Come i giovani nel tanto vituperato 1968 e negli anni prima a partire dalla guerra e nel suo dopo erano alla ricerca di nuovi modelli ideali per cambiare in meglio la società in cui vivevano e persino il mondo. Oggi l’aspirazione al cambiamento si riduce al nuovo modello di telefonino o di iphone, o nella vettura di marca purchè sia di moda, come il loro abbigliamento. E lo sfacelo di un sistema scolastico e formativo, soprattutto ma non solo, nel far maturare una coscienza civile, un nesso di appartenenza sociale, un piacere alla crescita collettiva, oltre ad un nuovo devastante modello di vita dove se non appari non sei nulla, ha compiuto il resto. Per averne rapida prova basta osservare la pubblicità. Gli spot televisivi ma anche quella sulla carta stampata, che fa da contorno ad una informazione da cesso, quella cioè con cui molti amano accompagnarsi seduti sulla tazza a defecare. L’esplosione irrefrenabile del gossip più sguaiato e soprattutto nudo e sessuofobico che contorna spettacoli di intrattenimento televisivo dove la professionalità è solo uno sbiadito ricordo ma tette e culi o petti glabri ma palestrati e lucidi, sia femminili che maschili, sono la richiesta realtà. Ecco la società italiana è oggi anche e soprattutto il prodotto di questa sommatoria ventennale dove la televisione, anzi tutte, assieme all’assenza di un giornalismo serio, come di una politica decente, hanno portato ad un risultato non casuale ma attentamente preparato e realizzato. Potremmo citare migliaia di esempi concreti per dimostrare quanto questo clima abbia determinato l’imbarbarimento della nostra società, la crescita di una violenza, e non ci riferiamo a quella da prima pagina della cronaca nera, diffusa quanto arrogante nei gesti e nei momenti più quotidiani della nostra vita. Alla corsa di giovani e famiglie ad un trash televisivo che ha nello sputtanamento pubblico, meglio se parentale, o nelle veline e nei cosiddetti reality l’ambizioso obbiettivo di vita. Non per nulla dopo i calendari desnudi oggi si possono presentare i mesi sotto il titolo dei “miti del cinema” e sostituire ai grandi di un tempo recente le foto di alcuni stalloni semiefebici dai grandi occhioni, dalle sopraciglia rasate, dai corpi da letto. La recitazione da mito? Ridotta al tampax di Carlo e Camilla. Quasi un ritorno perverso ai tempi di GrandHotel e dei fotoromanzi in bianco e nero, nelle cui pagine sfogliate nei saloni di parrucchiera di ultimo ordine stava il sogno di milioni di casalinghe insoddisfatte. Con un’unica differenza che una volta uscite con i capelli incotonati ed odoranti a milioni della stessa lacca, quelle donne si rituffavano in una società reale quanto dura, dove il rapporto sociale si costruiva nella piazze e sui balconi e non davanti ad un gelido teleschermo, seppure al plasma, seppure a rate. |
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