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La VIOLENZA.
Scritto da: Maurizio Fogar

Ci sono sostanzialmente due tipi di violenza.

La prima per sintesi diremmo di tipo diretto: fisica o psicologica che sia.

Ovvero quando si è aggrediti da una o più persone, per strada, in un locale, in casa, oppure attraverso uno stillicidio di forzature psicologiche: negli affetti, nei rapporti familiari o sul lavoro.

La seconda invece la definiamo di tipo istituzionale.

Ovvero quando una istituzione, pubblica o privata (vedi banche, assicurazioni, ospedali, telefonia, ecc.) esercita una violenza non diretta a colpire fisicamente ma atta a ledere un diritto, una autonomia, insomma il rispetto e la dignità di una persona. 

In alcuni casi essa procura un isolamento civile, una morte civica, che solitamente precede o accelera una morte fisica, oppure ne favorisce le condizioni perché essa si verifichi, o determina la vittima emarginata ed impotente ad usare i mezzi anche i più estremi per difendersi, per farsi giustizia da sola, fino a spingerla a gesti estremi di tipo terroristico.

I casi più noti sono quelli descritti da Nando Dalla Chiesa nel suo libro “Delitto imperfetto” nel quale ripercorre il contesto che ha portato all’assassinio del padre, il Generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, Prefetto di Palermo assassinato dalla mafia, oppure la pubblica vicenda della fine del giudice Paolo Borsellino, trucidato sempre da Cosa Nostra con una morte ampiamente annunciata, per finire al terrorismo con l’assassinio da parte delle Brigate Rosse dell’operaio Guido Rossa a Genova.

E qui di questa seconda forma di violenza, più subdola ed infinitamente più grave per la natura dell’autore (quasi sempre un potere pubblico, politico, giudiziario, economico o del mondo dell’informazione, o tutti quanti assieme), desidero parlare.

Perché nella prima ogni caso particolare fà storia a sè e molto spesso gli autori da un lato si espongono di persona, con tutti i rischi che questo logicamente per loro comporta, e dall’altro le vittime hanno una certa possibilità di difendersi con successo: legalmente, fisicamente e psicologicamente, e quindi di ottenere giustizia.

Voltaire: “Non condivido la tua idea, ma darei la vita perché tu la possa esprimere.”

Questo aforisma del grande illuminista francese viene molto spesso assurto a simbolo, ad esempio, a nobile principio della politica e della stampa nel nostro Paese.

Niente di più ipocrita e fasullo.

Da un lato la politica in Italia oggi si è quasi del tutto ridotta ad una lotta tra bande dove il principale obbiettivo, e tutti i mezzi per raggiungerlo sono buoni, è la conquista del potere ad ogni livello per trarne tutti i vantaggi personali ed economici che da esso derivano, eliminando spietatamente ogni concorrente. O talvolta tacitandolo con un coinvolgimento collusivo.

Insomma meglio qui ripescare il più antico ma calzante detto latino “mors tua vita mea”.

Dall’altro oramai è prevalso un uso smaccato ed arrogantemente rivendicato di tutte quelle istituzioni pubbliche o parapubbliche che siano funzionali al raggiungimento ed al mantenimento dell’obbiettivo di cui sopra. Sempre più spesso ricorrendo alla copertura complice ed omertosa anche di quelle istituzioni o “poteri” nati per tutelare i cittadini o per denunciare le storture e gli abusi dello smodato e personale uso del potere pubblico o economico.

Dalla magistratura, alle Autorità di Garanzia, ma soprattutto al “quarto potere”, ovvero al mondo dell’informazione, scritta e radiotelevisiva.

Le vicende nazionali quotidianamente confermano questo desolante quadro, in Europa e nel mondo occidentale, quasi tipicamente italiano.

Ma nel merito voglio qui trattare l’esempio concreto che riguarda la nostra terra, ovvero Trieste ed il Friuli Venezia Giulia.

No, non ne farò un trattato anche se tantissimi sarebbero gli episodi da editare una Treccani regionale.

Mi limiterò a due soli fatti esemplari per tutti. E di una violenza istituzionale smaccata.

Il Circolo Miani, di cui si possono o meno condividere tutte o in parte le iniziative, è indiscutibilmente da trenta anni la realtà socioculturale più significativa del capoluogo regionale ed è quella che raccoglie il massimo consenso in termini di partecipazione e credibilità fra i cittadini.

Orbene da anni questa Associazione è al centro di una serie di violenti attacchi, senza limiti di pudore e menzogna, tesi a far cessare le sue attività e la sua stessa esistenza.

Quando un presidente di Regione dichiara pubblicamente che questa non finanzierà con nemmeno un centesimo le iniziative dell’Associazione in aperta violazione delle leggi che la stessa Regione si è data, perché “Il Circolo Miani non ha amici in Regione” ovviamente tra i partiti o i consiglieri che “contano”. E quando questo avviene ripetutamente nel silenzio pressoché totale, unica lodevole eccezione un consigliere di Rifondazione, delle forze politiche “liberali, garantiste, legalitarie e progressiste” si capisce appieno di come l’uso privatistico e clientelare del pubblico denaro da parte dei partiti non abbisogni neppure più di una foglia di fico giustificativa, tanta è l’arroganza condivisa e consociata.

Che questo avvenga nel pieno silenzio assenso degli organi di informazione triestini e regionali, i famosi “cani da guardia” del potere a difesa dei cittadini come blaterano gli editoriali di direttori ed opinionisti di basso rango, conferma di come la collusione tra potere e “presunti controllori” sia totale.

Secondo episodio.

Tutti ma proprio tutti gli organi d’informazione triestini, il piccolo giornale monopolista ed il suo omologo in lingua slovena, con le televisioni private al seguito, da mesi silenziano rigorosamente ogni iniziativa del Circolo.

Otto edizioni settimanali del TG da Strada, che hanno visto partecipare migliaia di persone ed in cui sono stati diffusi quasi ventimila pieghevoli a colori, sono state letteralmente cancellate dalla cosiddetta informazione di cui sopra.

Ma il massimo del peggio, di cui si scopre stupefatti che non ha limiti, si è raggiunto in occasione della conferenza stampa pubblica in cui un legale, venerdì scorso, rappresentava i motivi per i quali undici concittadini incensurati, madri di famiglia, nonni e giovani, sono stati rinviati a giudizio dalla procura di Trieste per aver “occupato” per venti ore la sala, per altro deserta, del Consiglio Comunale di Trieste a difesa della salute dei triestini e dei muggesani,  per protestare civilmente contro gli impegni votati e totalmente disattesi da Comune e Regione sulla vicenda Ferriera-Sertubi. Un dramma che si trascina da oltre dodici anni e che assegna alla provincia il triste primato nazionale di mortalità da tumori e da “semplici” malattie all’apparato respiratorio, tra collusioni, inerzie, incapacità di partiti ed amministrazioni che hanno sempre violato le leggi pur di favorire gli interessi di una multinazionale russa, a tutto scapito anche dei residui lavoratori i cui posti in questi anni sono “evaporati” per quasi due terzi.

Non una testata giornalistica locale ha ritenuto di dare l’annuncio e tanto più di partecipare per raccontare una notizia così importante per tutta la collettività.

I sessanta cittadini convenuti, nonostante il clima infausto, sono rimasti sgomenti a commentare questa pura ed ennesima censura.

Orbene più volte in questi anni il Circolo Miani ha cercato di sollecitare la società triestina ad una riflessione sul grave deficit che questa non informazione pone allo sviluppo della democrazia e della comunità giuliana, segnalando ripetuti episodi di manomissione della verità assolutamente scandalosi che rispondono ad una precisa strategia politico-editoriale di azzeramento della partecipazione dei cittadini alla vita del nostro territorio.

Nessuno finora, anche tra coloro che si pongono quali rinnovatori di questo sistema o di paladini della legalità, oppure di “radicati nei quartieri”, ha mai voluto spendere voce su questo vero attentato ad uno dei diritti fondamentali garantiti dalla nostra Carta Costituzionale, quello cioè della libertà di parola ed informazione.

Una violenza tanto più odiosa perché colpisce proprio i più “deboli” e meno garantiti che pure a migliaia da anni si ostinano a voler rivendicare un diritto elementare: quello di partecipare alle scelte che determinano la loro vita ed il loro futuro.

Chiudo accusando pubblicamente di mendacio il direttore del quotidiano locale che ha la spudoratezza di scrivere “Le segnalo che pressoché sempre le pagine della Cronaca di Trieste non dispongono di foto a colori, per vincoli relativi alle caratteristiche tecniche della rotativa.” In risposta ad una richiesta del Circolo Miani di pubblicare la foto dei fanghi tossici in uscita dalla Ferriera che inquinano ed avvelenano le acque del Golfo di Trieste da Capodistria a Miramare. Immagini che tutti gli utenti di internet sul nostro pianeta possono scaricare ammirando le foto satellitari di Trieste su Google Maps.

Vincolo dell’assenza del “colore” in cronaca che però non vale ogni qualvolta si pubblicano le foto dei politici aspiranti sindaci o parlamentari, che vi compaiono “pittati” come neanche il Caravaggio avrebbe potuto.

Ebbene quale violenza è più perniciosa per la nostra società? Ci pensino anche i nostri cosiddetti “intellettuali” così silenti su temi così reali.

 



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