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La giustizia nel nostro bel Paese in cinque banalissimi episodi.
Scritto da: Teodor

1) Quattro Amici al bar ed il Grande Fratello.

Per un due annetti, oramai quattro lustri fa, ogni domenica mattina una redattrice della Rai ora a Firenze, un direttore di carcere ora in pensione, un giornalista in servizio permanente effettivo, ed un fotografo da tempo non operante, si ritrovavano per un caffè in un noto bar storico del centro-rive. Ed ogni domenica mattina erano due orette buone di babezzi, pettegolezzi e cazzeggiate sugli altri clienti del locale che ci capitavano a tiro. La redattrice Rai aveva creato un sistema per classificare gli astanti: NTP (Non Trombante Perenne) e così via, ve la risparmio, a salire ma molto più spesso, anzi quasi sempre, a scendere. Il direttore del carcere di Trieste aveva invece elaborato una legge anti rutti, con le condanne che ne conseguono: girare solo di notte rasente ai muri, e amenità varie. E così via a passare in leggero ozio due orette.

Mai avrei pensato anni dopo che un agente di polizia mi confidasse che l’unico sollazzo e sollievo al centro intercettazioni erano proprio quelle due ore della domenica quando lui e i suoi colleghi si radunavano sghignazzanti per ascoltarci intercettati e che aspettavano con ansia quel momento di varietà domenicale. Perché sotto ogni tavolino dell’antico caffè erano state piazzate le cimici per una indagine che riguardava il gestore del locale. Ancora più imbarazzo mi creava un amico avvocato che difendeva uno degli imputati in quel processo quando mi raccontava di aver perduto ore e ore a visionare faldoni di intercettazioni, tra cui le nostre cazzate, contenute nel fascicolo processuale, che ovviamente era sotto gli occhi di tutti: dagli impiegati del Tribunale a quelli degli studi professionali, per finire ai giornalisti. E si chiedeva se fosse giusto che per esempio sua moglie, che lo assiste nell’attività legale, potesse apprendere, dalla lettura di una intercettazione che nulla aveva a che fare con i fatti del procedimento legale, che lui, o viceversa lei, avesse un o una  amante con cui si incontrava occasionalmente in quel Caffè. E la domanda che sorgeva spontanea allora perché pubblicarle quelle intercettazioni, e pensate quante visti i tavolini del bar, i mesi di indagine e le migliaia di clienti. Perché non distruggerle dopo averle ascoltate senza perdere tempo e soldi, tanti, ed impiegare personale di polizia, tanto, a sbobinarle e trascriverle alla faccia del diritto alla riservatezza dei cittadini. Il Grande Fratello Stato colpisce ancora.

2) Il premio Stakanov ad un autista della Procura.

Sette mesi di carcere e 300 euro di multa: questa la pena inflitta dal Tribunale di Trieste ad un autista della Procura per essersi recato al bar senza aver timbrato il cartellino d’uscita (giovedì 8 marzo 2007 pubblicava il quotidiano locale). La colpa è testimoniata da una telecamera fatta installare per l’occasione e da due finanzieri che la gestivano, tra il 13 giugno 2005 ed il 31 gennaio 2006. Dunque in sei mesi e mezzo, il Grande Fratello aveva filmato ben otto caffè consumati nel bar della nostra amica Fabiana posto esattamente a dieci passi dal luogo di lavoro del condannato. Lavoro che consisteva infatti nello stare in piedi nel cortile dell’ingresso di via Coroneo ad attendere per ore la chiamata sul cellulare di servizio che lo avvertiva del magistrato che doveva accompagnare o prendere con la vettura appunto di servizio. Otto caffè bevuti con il telefonino acceso, con la macchina oltre la strada, in oltre sei mesi e mezzo: altro che sette mesi di arresto e 300 euro di multa, ma il Premio Stakanov dovevano assegnargli. Ministro Brunetta se ci sei batti un colpo e mandagli un encomio, all’autista si intende e non alla magistratura che per indagare sugli otto caffè in sette mesi ha speso cifre sproporzionate per acquisto, installo e manutenzione di una telecamera con videoregistratori annessi. Oltre al dispiegamento di due e più agenti della Guardia di Finanza per il controllo e lo sbobinamento dei nastri.

3) Diecimila raccomandate ed il Ticket malandrino.

Ci risulta che Lei abbia fatto un prelievo di sangue quattro anni prima nell’ambulatorio del terzo Distretto sanitario in via Puccini, riempia questo formulario allegato, ci porti copia delle analisi e della ricevuta dell’importo pagato come contributo mutuabile previo appuntamento nei nostri uffici del Nucleo tributario della GDF in via Giulia. Questo si scriveva  in una corpulenta busta gialla raccomandata con ricevuta di ritorno speditami qualche anno fa dalla GDF per una indagine della Procura su di un impiegato dell’ASS colpevole di aver sottratto sette milioni di vecchie lire incassando lui i ticket sulle analisi degli utenti. Attenzione nel frattempo il dipendente fedigrafo aveva ammesso la colpa e restituito cinque dei sette milioni imputati. A parte il fatto che pretendere che un comune cittadino si ricordi le analisi del sangue fatte quattro anni prima e conservi la ricevuta del ticket mi sembra roba dell’altro mondo. Ma sorprende l’assoluta sproporzione tra costi ed effetti, insomma sconvolge il senso reale di giustizia non ottusa. Per recuperare i supposti due milioni mancanti, vista che la colpevolezza è accettata e confessa da parte dello stesso imputato che ritorna per di più gran parte se non tutto il maltolto, se ne spendono molti di più nello spedire migliaia di raccomandate AR da mezzo chilo e si tengono impegnati decine di agenti della GDF, con richieste francamente inesaudibili. Ah per completezza di informazione: nell’occasione risposi l’assoluta verità, ovvero che le mie analisi sono escluse dal pagamento di qualsiasi ticket per patologia cronica, cosa che avrebbero benissimo potuto controllare direttamente dagli archivi informatici risparmiandomi il disturbo ed allo Stato il costo della RAR.

Trentamila pensionati indagati per aver certificato il falso (grosso modo così titolava su otto colonne il quotidiano locale nell’annunciare un’altra mega indagine giudiziaria). Poi leggendo si scopriva che in realtà qualche decina di migliaia di triestini over 65 anni erano sotto indagine per il sospetto di aver evaso un deca (insomma diecimila lire) nell’applicare la nuova normativa che escludeva gli anziani con un certa età, oppure sotto una certa soglia annua di reddito, dal pagamento dei ticket sulle analisi. Dopo quel titolo per fortuna più niente perché anche in Procura, magari con difficoltà, devono aver scoperto il senso del ridicolo.

4) Firma, bifirma e trifirma.

Tra il 2002 e il 2004 ben 14.000 firme di sottoscrittori per la presentazione delle liste alle comunali, provinciali e circoscrizionali a Trieste nel 2001 sono state passate al setaccio dai nuclei di polizia giudiziaria presso il Tribunale a causa di ben 134 firme apposte due o tre volte e sanzionate con 650 euro di multa agli incauti autografanti, per di più vecchi pensionati. Un centinaio di avvisi di garanzia sparati a raffica con l’accusa truculenta di un codicillo penale che va dalla minaccia a mano armata agli elettori in un seggio, al sequestro o quasi di persona, fino al più modesto raggiro di gonzo. Tutto o quasi l’apparato delle forze dell’ordine del Palazzo di Giustizia impegnato a tempo pieno per quasi due anni per poi arrivare alla richiesta del PM di archiviazione e ad una sentenza del GIP che rampogna metodo e risultati dell’indagine della Procura. Per i disgraziati incolpevolmente avvisati e coinvolti, sputtanati per mesi dalle pagine del quotidiano locale in articoli dove si accusava, giudicava e condannava senza possibilità di replica alcuna, costretti a spendersi una media di mille euro ciascuno di avvocati, niente,  neanche una scusa od una lacrimuccia, figuriamoci un risarcimento. Per arrivare oggi alla importante indagine di quattro piatti scorzati ed un fanale arrugginito sequestrati e pubblicati a piena pagine a corredo della brillante indagine della magistratura su un tombarolo del mare accusato di ricettazione, siamo ad un valore complessivo molto distante dai mille euro. Solita retatona agostana annuale di prostitute a parte nella pagina di fianco.

5) Appello ennesimo dell’associazione magistrati: mancano soldi e personale agli uffici, la giustizia va in crisi. Forse nel resto d’Italia non certo a Trieste che ha il record nazionale di intercettazioni con conseguente costo a carico del bilancio statale e che sceglie di impegnare uomini e mezzi nei modi sopra descritti, e vi assicuro che a  parte la bufala del caso di Una Bomber di casi conosciuti personalmente ne potrei citare a decine. Nel frattempo, come scrive l’autorevole Gherardo Colombo, i tre quarti dei reati ad alta pericolosità sociale finiscono prescritti per scadenza dei termini e le discariche abusive tossico-inquinanti nel pieno centro di Trieste sono ferme a tre mesi dal sequestro giudiziario, allo Scalo Legnami. Una giustizia un tantino forte con i deboli e debole con i forti ma sensibile alle fotonotizie sui giornali? A Trieste non sarebbe da stupirsene.



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