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Parlarsi, anzi scriversi, addosso.
Scritto da: Maurizio Fogar

Mi sono spesso chiesto la vera utilità di tenere un sito online. Forse perché più che l’età una certa consuetudine ma soprattutto una forma mentis, diciamo una certa esperienza culturale, mi ha sempre reso assai poco fiducioso verso tutto quello che viaggia sul video, senza per questo disconoscerne o sottovalutarne l’importanza nella società attuale che però appunto è quella che è.

In particolare trovo il dialogo via internet e la vertiginosa apertura di siti o forum un fatto assai autoreferenziale, e mi spiego meglio. Molte persone lo fanno, ovvero scrivono di tutto, spesso per il piacere di vedersi scritti, di leggersi, un po’ come le telefonate in diretta ai tempi oramai remoti delle prime radio e poi televisioni  private: l’importante era ascoltarsi in pubblico, poco o tanto che fosse.

Faccio due esempi: il sito del Circolo Miani, che in due anni o poco più ha ottenuto quasi 5200 passaggi di utenti unici, e mi dicono che tanto poco non è se si pensa che ha dormito parecchi mesi, riceve da gennaio ad oggi una media di 15-20 visite al giorno. Ma gli articoli in esso contenuti vengono aperti da cinque-sei persone al dì, come segnala il contascatti specifico. La domanda sorge spontanea: allora che guardano i nostri visitatori, le Notizie, l’Eco della Serva, o che altro di non conteggiabile? La sensazione è che in realtà buona parte di chi naviga su Internet, almeno da queste parti ma ho la sensazione che valga abbastanza per tutto il nostro Belpaese, lo fa in modo assai poco curioso per non dire superficiale, e considera appunto il navigare su internet come una corsa continua a sfogliare una gran quantità di roba, a vedere quante più vetrine possibili, ma sempre ipervelocemente. Senza sentire alcun bisogno di approfondire, ma senza soprattutto la disponibilità ad imparare, conoscere, confrontarsi. Questa certamente non vuole essere una generalizzazione totalizzante, né tantomeno una difesa d’ufficio del valore del sito del Circolo Miani, certo è che se non leggi gli articoli, i contenuti, poi certo pare difficile giudicare e tantopiù criticare o dissentire.

Secondo esempio è uno dei siti più praticati, o almeno data la mia inesperienza così credo, in loco, quello degli amici di Beppe Grillo di Trieste. Ho notato una mole decisamente invidiabile di passaggi su certi argomenti ed anche un alto numero di interventi che però a ben osservare si riducono grandemente perché sono sempre e quasi solo delle stesse persone che scrivono e suppongo leggono. Una ripetizione continua che vede pochissimi dire la loro ripetutamente e su tutto ma senza ottenere quasi mai il risultato di coinvolgere gente nuova nel dibattito e nella conseguente lettura, insomma nell’ampliare quella partecipazione che dovrebbe essere uno degli scopi principali dell’informazione via internet.

I vizi della carta stampata e del giornalismo, soprattutto quello nostrano, sono davanti agli occhi di tutti, ma pur con i limiti che ben conosciamo, primo tra quelli la truffa del finanziamento pubblico-partitico (mentre ben altra cosa dovrebbe essere una seria politica che agevoli l’editoria scritta senza favoritismi a fronte di un mercato pubblicitario assolutamente distorto a favore delle televisioni, e questo per le ben note ragioni che conosciamo ma anche per la responsabilità di una classe politica, quasi nessuno escluso), esso costringe almeno in piccolissima parte a fare i conti con l’edicola, ovvero con le copie vendute in più o in meno e di conseguenza con una certa qualità del prodotto, assai bassa per la verità nel nostro Paese e non parliamo poi di Trieste.

Per esempio una delle forze innovative assolutamente non sfruttate, ma anche temo non capite, di internet dovrebbe essere l’approfondimento ed il confronto. Ovvero quella cosa che tanti anni addietro era delegata ai settimanali per non dire alle riviste mensili. Oggi dovrebbe essere la forza dei quotidiani nei confronti delle notizie televisive, che sono senza memoria: la nuova cancella la precedente. Ma sappiamo che invece così non è. A Trieste i pochi periodici locali gareggiano al ribasso con i quotidiani (uno, Il Piccolo, e unquarto, il Primorski Dnevnik, ridotto ad un bollettino parrocchiale della minoranza slovena e quasi totalmente finanziato dai contributi statali) e sono ben più attenti agli umori dei clan partitici, una volta si chiamavano correnti, che all’interesse di accrescere il numero dei lettori.

Ecco lo spazio importante che per esempio dovrebbe occupare anche nel nostro Paese, nella nostra Regione e a Trieste l’informazione via internet. Dovrebbe, perché dirlo è facile, realizzarlo molto meno. Perché presuppone un cambiamento radicale di mentalità, l’abbandono di quel mordi e fuggi e del protagonismo personale. Insomma significa rieducare e ripensare il nostro modo di vivere almeno per quanto riguarda l’approccio con la realtà e la sua conoscenza: un concetto tipicamente marxiano, o per lo meno gramsciano, ma anche Gobetti ed i fratelli Carlo e Nello Rosselli non scherzavano.  E chiedere un po’ troppo aprire un dibattito parventemente serio e non autoreferenziale su questo?



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